Francesco Hayez è uno dei maggiori esponenti del periodo pittorico del Romanticismo storico: gli ideali del Risorgimento italiano come patria e libertà sono i principali soggetti delle sue opere.
Nato a Venezia nel 1791 in una famiglia di umili origini e segnata dalla povertà, fu affidato alla sorella della madre, sposata a Francesco Binasco, un antiquario e collezionista d’arte. Fu proprio lo zio a indirizzarlo verso l’arte e la carriera artistica impiegandolo nell’attività di restauro che conduceva e favorendo l’entrata del giovane all’Accademia delle Belle Arti a Venezia. La svolta nella vita artistica di Hayez avvenne nel 1809 quando, recatosi a Roma in seguito all’ottenimento di una borsa di studio, conobbe Antonio Canova che gli aprì le porte delle maggiori collezioni, come i Musei Capitolini ed anche le prestigiose Stanze Vaticane. Durante il periodo romano il giovane artista si divise tra il lavoro nel suo studio e le frequentazioni mondane, che gli fruttarono molte amicizie tra cui anche quella con il pittore francese neoclassicista Dominique Ingres.
Hayez acquistò sempre più fama a Roma tanto che dipinse per Gioacchino Murat l’opera Ulisse alla corte di Alcinoo (1814-1816) mentre preparava un altro quadro, Rinaldo e Armida (1814), per l’Accademia di Venezia al fine di ottenere una nuova borsa di studio: ciò gli permise di rimanere ancora per qualche tempo a Roma.
Dopo la parentesi romana, Hayez si trasferisce a Milano dove comincia ad avvicinarsi agli ambienti intellettuali e nazionalistici dell’epoca; qui conosce esponenti del Romanticismo letterario tra cui Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi ed Ermes Visconti, esponenti del più fervente patriottismo. È grazie alle sue amicizie che Hayez ottiene un enorme successo con l’esposizione, alla Pinacoteca di Brera, del suo dipinto Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri nel 1820.
Con l’esposizione a Brera inizia la fortuna di Hayez, che comincia a dipingere opere dai temi storici, parte integrante dello spirito risorgimentale. Questo si può vedere nell’opera I Vespri Siciliani nelle sue tre versioni, o nello studio del 1821 per il dipinto del Conte di Carmagnola. Successivamente Hayez matura una poetica più romantica che attinge ai testi letterari, prendendo spunto anche dai personaggi shakespeariani, come si vede nel dipinto L’ultimo bacio di Romeo e Giulietta (1823).
Oltre alla produzione storico-letterale Hayez affianca anche la produzione di ritratti, che gli fruttarono una certa fama, distinguibile ancor oggi. Tra i molti che dipinse vi sono quello dell’amico Alessandro Manzoni del 1841, il Ritratto di Cristina di Belgiojoso-Trivulzio (1832), e anche il Ritratto di Camillo Benso conte di Cavour (1864).
Se si parla di Francesco Hayez non si può non nominare la sua opera più celebre Il Bacio, da molti definita il quadro italiano più conosciuto dopo la Gioconda di Leonardo da Vinci. Del quadro dell’artista veneziano esistono tre versioni: la prima, quella del 1859, venne dipinta da Hayez dopo l’ingresso trionfale a Milano di Vittorio Emanuele II e Napoleone III. Il dipinto era stato concepito proprio per celebrare la vittoria e la liberazione dal giogo dell’invasore straniero: l’abito della donna è di colore azzurro, questo per omaggiare i colori della bandiera francese, mentre l’uomo indossa il verde e il rosso, a simboleggiare l’Italia. L’opera di Hayez rappresenta, attraverso il bacio dei due giovani amanti, l’unione delle due nazioni, alleate per liberare il regno Lombardo-Veneto dal dominio austriaco.
Nella seconda versione, eseguita nel 1861, l’abito della donna diventa bianco e, assieme ai colori degli abiti dell’uomo, Hayez vuole attirare l’attenzione dello spettatore sui toni del tricolore italiano. Un modo per esprimere il suo dissenso sugli accordi tra il governo francese e quello austriaco con il Trattato di Villafranca e per celebrare l’agognata unità dell’Italia che si era presa la sua indipendenza senza più bisogno dell’aiuto di nazioni straniere.
Nella terza e ultima versione del 1867, ritorna l’azzurro del vestito della donna, ma Hayez aggiunge un drappo bianco vicino a due innamorati e opera alcuni cambiamenti all’ambiente circostante.
La scena presenta due giovani amanti che si stanno scambiando un bacio intenso e struggente, mentre l’ambiente è spoglio, forse esempio di architettura medievale. L’attenzione dello spettatore è completamente catturata dai due giovani protagonisti, il loro bacio è il centro della scena: l’uomo e la donna sono stretti in un abbraccio appassionato, ma l’ombra nell’angolo in basso a sinistra e il piede dell’uomo appoggiato sulle scale fa presagire un incontro fugace e proibito, come se il protagonista maschile fosse in procinto di abbandonare l’amata. Probabilmente Hayez voleva presentare un soldato che sta per andare al fronte e l’abbraccio stretto dell’amata vuole farci comprendere che la donna è consapevole che egli potrebbe andare incontro a morte certa, e cerca di trattenerlo. Tutto questo è un tentativo dell’autore di rappresentare la situazione politica della sua epoca: l’uso delle allegorie e dei personaggi mitologici o di scene ambientate in un passato lontano era una espediente a cui Hayez ricorre spesso per diffondere gli ideali del Risorgimento, evitando abilmente la censura austriaca. Questo atteggiamento era tipico degli artisti ed intellettuali dell’epoca che volevano aggirare le costrizioni della censura, così come fece Manzoni con la sua tragedia dell’Adelchi o Giuseppe Verdi con l’opera lirica del Nabucco: ancora oggi il celebre brano del “Va, pensiero” è considerato l’inno del Risorgimento.
Hayez diventò un simbolo del Risorgimento, di quel periodo storico in cui l’Italia e gli italiani prendevano coscienza di se stessi. Con la sua capacità di andare oltre la forma, oltre la storia e oltre i simboli, l’artista veneziano dipinse la sua realtà italiana e la vita umana.
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