Oggi, a distanza di pochi giorni dai miei ultimi due articoli, vi propongo un’altra opera d’arte che ha come obiettivo quello di far arrivare un messaggio: Five Car Stud di Kienholz.
Ho avuto la possibilità di ammirarla in prima persona in occasione dell’esposizione “Kienholz: Five Car Stud”, curata da Germano Celant per Fondazione Prada.
La mostra riuniva una selezione di opere realizzate da Edward Kienholz e Nancy Reddin Kienholz. Ogni lavoro proposto sarebbe degno di una riflessione a sè stante e potrebbe essere il soggetto scelto per il filone targato #ArteFaRiflettere.
Perché allora ho deciso di soffermarmi solo su Five Car Stud?
Questa domanda potrebbe essere posta anche al curatore Germano Celant, il quale ha deciso di intitolare l’esposizione con il nome dell’opera proposta oggi. Se, come me, aveste avuto la fortuna di poterla osservare, sono sicura che non avrei avuto bisogno di giustificare questa scelta.
Five Car Stud è un’installazione ambientale situata nell’ultima sala, dopo un discreto numero di opere che proponevano temi forti quali l’abbandono, la violenza sessuale e lo sfruttamento dell’immagine femminile. Un percorso crescente di immagini forti che una dopo l’altra turbavano sempre più l’animo e poi… buio.
Le opere precedenti preparano lo spettatore all’impatto e, soprattutto, lo calano in una dimensione altra. Se non ci fossero stati gli altri lavori, non sarei arrivata “nel modo giusto” a quest’ultima opera. Rispettosa in silenzio osservavo la scena a cui io stessa, dopo un po’, mi accorsi di essere partecipe.
Al centro della stanza buia, illuminata solo dai fari delle macchine, troviamo una rissa, dove un gruppo di uomini che indossano maschere grottesche picchia un uomo di colore. Noi possiamo avvicinarci e vedere ogni dettaglio. A cornice di questa situazion disdicevole vi è una circonferenza di macchine, all’interno delle quali vi sono una serie di personaggi che chiamerei “passivi”. Tra questi vi è la compagna del pestato disperata e altri personaggi inermi, alcuni piangenti altri che tentano di non curarsi di ciò che accade. Nel momento in cui nasce il disprezzo per i passivi, ci rendiamo conto di essere anche noi così: nessuno spettatore si è ribellato, ha urlato, ha cercato di colpire gli assalitori.
Ecco ciò che voleva produrre in noi Kienholz.
L’opera rappresenta la violenza razziale a dimensione naturale, conferendo ancor più impatto nello spettatore che si trova ad essere un personaggio della scena, e, proprio per questo, invaso da un senso di disagio e inadeguatezza. Vorrebbe intervenire, ma, allo stesso tempo, è consapevole di trovarsi di fronte ad una finzione, perciò si comporta proprio come i nostri passivi.
Pur non compiendo in primis la violenza, non intervenendo, effettua un reato, in questo caso morale. Si tratta di un’accusa contro la persecuzione razziale ma non solo!
Kienholz, dandoci la possibilità di poter vedere i volti dei “cattivi” e dei “buoni”, ricorda l’importanza di ognuno di noi nel mondo e quindi anche la responsabilità delle nostre azioni.
maggiori informazioni : visitare il sito di Fondazione Prada
Fonti testo: sito Fondazione Prada
Foto: copertina