Immaginate per un attimo di trovarvi a essere un uomo di una certa età, vestito di stracci, barba incolta, capelli che non si ricordano più il significato della parola doccia, e magari emanate pure un conviviale odore di fumo e alcool. Fatto? Benissimo, allora vi siete appena messi nei panni non del senzatetto della metro, ma di una fra le menti più importanti e influenti della storia occidentale, Socrate (già, pure voi col vostro vestito di Armani siete fuffa a confronto).
Con questo aspetto quantomeno discutibile andate nella piazza più affollata della vostra città e a qualche ingenuo passante ponete questa domanda: “Che cos’è la scienza?”. Quello presumibilmente, dopo aver composto il numero della polizia senza che lo vediate, vi dirà cos’è la scienza per lui, ossia una serie di simboli particolari tramite i quali la società contemporanea entra in contatto più velocemente col concetto di “scienza”: la macchina che si parcheggia da sola, le capacità di memoria del nuovo iPhone, la connessione superveloce e via dicendo.
Risposte di una comunità in cui il pensiero innovativo e creativo si manifesta nell’aumentare delle nostre comodità quotidiane, risposte corrette che però proprio come in un dialogo platonico riguardano i particolari o rappresentazioni di un ideale, non l’ideale stesso.
Senza avere la presunzione di avere subito una risposta corretta e definitiva forse allora è meglio iniziare a chiedersi quale sentimento origini la scienza. Un abbastanza noto ricercatore ci risponderebbe: “Fra le menti scientifiche più profonde difficilmente ne troverete una priva di un particolare sentimento religioso tutto suo. Tuttavia è diverso dalla religione dell’uomo semplice (…). Il suo sentimento religioso prende la forma di uno stupore rapito davanti all’armonia naturale.” E ancora, “Questo sentimento è il principio della vita e del lavoro dello scienziato, nella misura in cui lui riesce a trattenersi dai vincoli del desiderio egoista. Questo sentimento è indubbiamente molto vicino a quello che ha posseduto gli spiriti religiosi di tutti i tempi.” Così Albert Einstein descriveva la religiosità della scienza.
Possiamo ammettere allora, nonostante siamo abituati a ritenerle l’una l’opposto dell’altra, che religione e scienza sono sorelle, figlie della stessa intuizione intellettuale così puramente e unicamente umana e cioè di fare parte di qualcosa di immensamente più grande e complesso di noi e per certi versi anche inconoscibile.
Questa sensazione ci riduce a uno dei miliardi di meccanismi che partecipano a una macchina sul quale funzionamento noi non abbiamo controllo, e questo ci fa sentire impotenti, insignificanti, terrorizzati. Sensazioni del tutto e per tutto contrarie alla vita, cosicché la religione ha risolto questi demolenti sentimenti fornendoci una figura onnipotente, della quale siamo figli, eletti a portare avanti gli alti compiti che da Essa sono stati decisi, con la ricompensa di eterna felicità in seguito alla morte. Nonostante i numerosi vantaggi che questa visione possa avere portato nel corso della storia all’uomo, è proprio qui che risiede la differenza incolmabile fra scienza e religione. E grazie a questa differenza ci avviciniamo alla risposta che andiamo cercando. La religione tende a risolvere questa intuizione rimettendola alla rassicurante volontà divina che ci ama e protegge, la scienza la fomenta con le domande.
“Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l’uomo di scienza ma la ricerca critica, assidua e inquieta della verità fa l’uomo di scienza” diceva Karl Popper – epistemologo del Novecento – nella logica delle scoperte scientifiche.
Sempre citando Popper lo scienziato deve sapere che la “verità non è certa”, anzi una teoria che si presenta come inconfutabile non è scientifica e deve sempre essere pronta a demolirsi e ricostruirsi da capo sulla confutazione, partorita dal dubbio. Il dubbio è chiave della conoscenza, in una forma però che sempre diviene e mai sta.
Questo è bene averlo bene presente vivendo in un tempo in cui è estremamente più comodo sapere come va la borsa di Hong Kong che uscire di casa a prendere un caffè e questo oceano di informazioni disponibili è direttamente proporzionale alla velocità con cui possiamo apprenderle. E da questa illusione di infinito sapere, è facile rischiare di finire come Adamo giocato dal serpente dopo aver promesso una conoscenza pari a quella di suo Padre.
Invero non è mai stato così facile essere dei bravi tuttologi e anche, che non guasta mai, farlo ben sapere a tutto il pianeta: essere seguiti e adulati per questo. Ricordiamo le parole di Umberto Eco in una Lectio Magistralis nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino : “Il dramma di internet è di aver promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”. Uno sforzo comune per adottare Dubbio e Meraviglia, cardini della risposta alla domanda posta all’ignaro passante, come filtri della realtà contemporanea potrebbe essere il più importante dono di ciò che noi chiamiamo a volte sbadatamente Scienza. E chissà, la prossima volta che guarderete verso il cielo illuminato dalle stelle vi potreste scoprire scienziati e religiosi se sentirete riecheggiare una voce che profuma di antico: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
Fonti
- Il mondo come io lo vedo -Albert Einstein- 2010 Newton Compton editori
- Logica di una scoperta scientifica -Karl Popper- 2010 Einaudi editore
- hwww.lastampa.it