Non è passato tanto tempo da quando il mondo acclamava come suo eroe Marcus Hutchins, l’hacker buono che era riuscito da solo a fermare il virus WannaCry. Nel Maggio scorso non c’era giornale che non magnificasse la sua impresa, raccontando l’epopea di un giovane ventiduenne inglese che da solo era riuscito a rallentare e quasi a debellare la diffusione del ransomware che stava infettando i computer di multinazionali, ospedali e perfino di interi Stati.
I giornali facevano a gara titolare enfaticamente: “A 22 anni ha bloccato (per caso) Wannacry ed è stato inondato da proposte di lavoro”. La narrazione mediatica, soprattutto italiana, intendeva costruire per lui il profilo del perfetto millennial, per il quale le moderne tecnologie non hanno segreti, motivo per cui tra una pizza e un’uscita con gli amici si può anche riuscire a trovare una falla in un virus informatico che le vecchie agenzie di sicurezza non sono in grado di affrontare perché per loro l’informatica è solo un lavoro difficoltoso e innaturale, non una passione. Poco importava che in realtà Marcus Hutchins fosse un esperto di sicurezza informatica, molto conosciuto nel suo campo e tutt’altro che estraneo perfino al mondo del coding malevolo (era conosciuto come MalwareTech). La narrazione viene prima di tutto e la precedenza assoluta deve sempre averla la costruzione di un personaggio appetibile per il pubblico, un personaggio in cui magari si possa pure identificare il lettore tipo dei siti di informazione giornalistica, giovane e tendenzialmente appassionato un minimo di tecnologia. I dettagli che non rientrano alla perfezione nella narrazione che si vuole impostare meglio disseminarli qua e là nel corpo dell’articolo: il quadro su Hutchins si faceva più complesso solo leggendo con attenzione, mentre di primo acchito il messaggio che passava era quello del giovane eroe solitario che con la sua passione informatica era riuscito a salvare il mondo da una catastrofe.
La problematica narrazione mediatica ha mostrato tutte le sue crepe quando alcune settimane fa è rimbalzata la notizia che Marcus Hutchins è stato arrestato dall’FBI in quanto sospettato di aver creato software malevoli in grandi di rubare le credenziali bancarie a ignari internauti. Il nickname MalwareTech assume ora un alone molto più lugubre e le potenziali implicazioni di quest’arresto si fanno pesanti: se gli esperti di sicurezza informatica collaborano con i criminali che si suppone dovrebbero combattere, si affaccia paurosamente il sospetto che sia ancora molto lontana la sicurezza nel mare magnum del Web (e in Internet ormai conserviamo sempre più dati importanti e sensibili). Simili riflessioni purtroppo non hanno trovato posto in quegli stessi giornali che acclamavano l’eroe informatico. La priorità è sempre salvare la propria narrazione: così nei titoli a campeggiare è ancora la qualifica di eroe, anche se adesso accostata all’accusa di essere un criminale informatico, accusa però messa sempre sottilmente in dubbio e presentata come qualcosa di incredibile e probabilmente frutto di qualche fraintendimento. La nostra epoca, secondo gli intellettuali, è segnata dalla fine delle grandi narrazioni, ma di sicuro questo ancora non riguarda i giornalisti.
Fonti: losbuffo.com, ansa.it, huffingtonpost.it, repubblica.it, millionaire.it, panorama.it, askanews.it, tgcom.it, punto-informatico.it, corriere.it, wired.it
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