Il passaggio dall’antichità al medioevo è fatto ben noto e conosciuto, eppur sempre limitato sia in termini di definizioni specifiche (e allo stesso tempo assai datate) sia per ciò che concerne gli aspetti politico economici; poca attenzione si dà infatti alla sfera culturale di questa delicata fase della nostra storia, spesso semplificandola al massimo entro la bollatura di “decadenza”: cosa, quest’ultima, storicamente non esaustiva. Il passaggio dalla gloriosa epoca antica, come ci è sempre stata indicata sui manuali e dai nostri insegnanti, a quella cosiddetta epoca buia che fu il medioevo, anch’esso definito come un periodo intermedio fra due imponenti grandezze, non tiene conto troppo di frequente della tarda antichità, una fase in cui gli elementi della romanità imperiale si mescolano con quelli che saranno i caratteri dominanti nell’alto medioevo. Oltre ai regni romano barbarici e all’influenza sempre più massiccia di una nobiltà non più di retori ma di militari, il periodo tardo imperiale permise due importanti novità sul piano editoriale: la sostituzione del papiro con la pergamena e l’utilizzo del codice a differenza del volume. Come la tradizione storiografica ci insegna, anche questo fatto fu caratterizzato dalla forte influenza cristiana, elemento che a partire dal IV secolo d.C. divenne uno tra i preponderanti entro l’impero.
La sostituzione del papiro con la pergamena avvenne in Occidente e si verificò nell’arco di tempo tra II e VI secolo; fra le cause che portarono a questo cambiamento vi furono motivi di carattere commerciale, in quanto si registrò una minore disponibilità di papiro sul mercato, e ideologico in senso cristiano. Si optò dunque per la pergamena, assai disponibile in territorio europeo: essa derivava dalla pelle animale appositamente conciata e sbiancata, infine tagliata in modo da creare dei fogli della grandezza desiderata.
Parallelamente a questo cambiamento se ne verificò un ulteriore, ossia quello che vide l’introduzione del codice come forma libro. Il termine – derivante dal latino codex, ossia letteralmente “ceppo d’albero” – indicava un insieme di fascicoli di papiro o di pergamena legati assieme per costituire un volume: si trattava dunque della forma con cui si presentano libri di oggi. Va precisato che nei primi secoli a partire da queste introduzioni la pergamena e il papiro erano usati quasi nelle stesse percentuali per la creazione di codici, anche se si deve notare come la pergamena si sia poi rivelata un materiale ben migliore del suo concorrente per quanto riguarda la conservazione e la trasmissione dei testi: si trattava di un materiale più resistente all’uso, alle macchie, al passare del tempo e a danni accidentali. Altro punto che è necessario trattare riguarda la presunta novità della forma del codice: in realtà tale conformazione era stata già applicata nell’antichità a diverse opere di carattere utilitaristico e pratico, dunque senza velleità letterarie. La novità consistette infatti nell’adozione della forma del codice anche e soprattutto per opere letterarie o con intento apertamente artistico, che fino a quell’epoca circolavano quasi esclusivamente su rotolo di papiro.
Ruolo fortemente decisivo in questa svolta ebbe, come già anticipato, la cultura cristiana. A differenza della religione pagana, il cristianesimo si serviva sin dalle sue origini di libri: il testo sacro, la Bibbia, letteralmente significa infatti “insieme di libri” e affidata a un libro risultava essere la parola di Dio, direttamente ispirata agli scrittori. Si potrebbe definire per questo il cristianesimo non solo come la religione del libro, ma anche la religione del testo, se per testo intendiamo l’incontrovertibile parola divina che a partire dalla Vetus latina di Gerolamo fu oggetto di più o meno attenti studi filologici. La rivelazione divina era dunque affidata certamente a un oggetto, il quale doveva essere diffuso il più possibile: ecco dunque il carattere di universalità che la religione richiedeva, dovendo essere diffusa non solo tra i suoi funzionari, ma anche e soprattutto presso le masse, comprese quelle meno acculturate. Per favorire tale carattere universale, l’evangelizzazione era stata subito messa in atto con predicazioni e con un efficiente apparato di comunicazione scritta: le lettere che Paolo inviò alle comunità cristiane dell’impero costituiscono un’importante testimonianza e si ritiene che già nei primi decenni di diffusione circolassero nella forma del codice. Nacque dunque un nuovo pubblico di fruitori della letteratura, che consumava la parola di Dio mediante la propria natura di ascoltatori e di lettori. Il carattere ideologico cristiano non si esaurisce in queste poche precisazioni: il codice, come la pergamena, venne spesso usato come forma della nuova cultura come simbolo di differenziazione formale rispetto alla religione pagana: pagana era da sempre stata la forma del rotolo di papiro, costituita dall’unione di più fogli ricavati dall’arbusto egiziano, lunga a volte più di una decina di metri e di assai scomoda consultazione. Questa era stata la forma in cui si erano conservate le opere dell’antichità entro le biblioteche pubbliche e private e tale era divenuto dunque il simbolo dell’antica cultura non cristiana. Attraverso il codice il cristianesimo poté dotarsi di carattere letterario e di una più definita identità anche materiale. Tale forma inoltre si sposava totalmente con i caratteri di funzionalità e normatività del testo sacro: il primo carattere è ben ravvisabile entro la facilità di consultazione, fattore importante – soprattutto per i sacerdoti – durante sermoni, messe e predicazioni. Il secondo carattere appare nella forma del codice in quanto tale era la veste in cui circolavano sin dall’antichità classica i testi di carattere normativo e giuridico: la parola rivelata aveva dunque carattere di legge, sia antica sia nuova. Ultimo elemento per ordine ma non per importanza fu il carattere di umiltà e bassezza che caratterizzava questa forma libro: essa si confaceva all’afflato cristiano che prevede l’innalzamento delle cose basse, povere, misere, le sole destinate ad abitare il regno dei cieli.
Successivamente la forma libro cristiana si impose su tutti i generi letterari per i suoi caratteri di comodità e maggiore facilità di trasmissione ai posteri, in quanto permetteva, oltre alle altre cose, minori impedimenti durante l’atto della copiatura dei manoscritti. La forma libro che noi tutti conosciamo e di cui usufruiamo si può dunque considerare un’eredità dell’occidente latino cristianizzato, pur avendo perso, già nei primi secoli della sua diffusione, il proprio carattere fortemente religioso.
Fonti
Testo: appunti e dispensa del corso di Filologia Umanistica tenuto dal Prof. Paolo Chiesa presso l’Università Statale di Milano, anno accademico 2016/2017. Sotto richiesta è possibile consultare il suddetto materiale.
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