Occidente, anni 60′. Gli anni dei Beatles e dei Simon&Gurfunkel con la loro “Mrs. Robinson”, di “Colazione da Tiffany” e de “La Dolce Vita”. Gli anni della marcia di Martin Luther King verso Washington e della morte di Marilyn Monroe. I mitici anni 60 sono passati alla storia per essere un decennio di cambiamento, di svolta, di salto verso il futuro.
In questa atmosfera Mary Quant inventa un capo destinato a rivoluzionare per sempre il mondo della moda e non solo: la minigonna. Simbolo di rivoluzione e libertà, la minigonna incarna il grido di milioni di donne che volevano mostrare al mondo la propria indipendenza e la propria femminilità. Eppure nel corso degli anni qualcuno ha messo spesso in discussione la maternità di Mary Quant. Infatti nello stesso periodo lo stilista francese Courrèges presentò modelli di gonne molto corte da portare con stivali alti o sopra dei particolari pantaloni molto attillati di tessuto morbido (i bisnonni dei jeggins per capirci).
« Ni moi, ni Courrèges n’avons eu l’idée de la minijupe. C’est la rue qui l’a inventée. » Così replicò Mary Quant.
Madre o non madre, la minigonna di Mary sfoggiata nella sua boutique Kings Road a Londra diventò subito un musthave.
Nonostante venne subito apprezzata dalle ragazze di tutto il mondo ( tranne dalle ragazze cinesi che non poterono indossarla poichè dichiarata illegale), la minigonna fu bersaglio di pesanti critiche e ci vollero anni perché fosse accettata. Fu Twiggy, la prima modella ad indossarla liberamente. In Italia nel 1961 le gemelle Kessler fecero scandalo quando indossarono la “mini” nel loro programma televisivo. Fu solo nel 1966 che Mary Quant venne insignita del titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero britannico per la sua creazione, ma da quel momento l’ascesa verso il firmamento delle grandi creazioni di moda più importanti della minigonna non si è fermata.
Dalle prime mini, colorate e geometricamente squadrate, si passò a quelle più trasgressive e cortissime della fine degli anni ’60. Negli anni 80 arrivarono poi le minigonne in pelle nera indossate dai punk spodestate dai microcalzoncini della fine degli anni 80 inizio novanta indossati da popstar del calibro di Madonna. Negli anni ’90 Dolce e Gabbana, Prada e molti altri stilisti costruirono intere collezioni su questo capo affermandone l’importanza e l’iconicità.
Ma come si è arrivati ad avere una gonna sopra il ginocchio?
A partire dalla fine del XIX secolo i primi movimenti femministi iniziarono a ritenere le gonne portate allora poco comode per i movimenti. Infatti queste gonne simili a vere e proprie tende della nonna erano ricavate da tessuti pesanti e feltrosi. Sul finire del secolo la femminista francese Hubertine Auclert arrivò a creare la “Lega per le gonne corte“, un movimento creato con lo scopo di dar voce a milioni di donne che reclamavano il diritto ad un abbigliamento meno ingombrante, che garantisse più comodità nei movimenti. Durante la prima guerra mondiale, dal momento che i mariti erano al fronte a combattere le donne presero a lavorare in fabbrica e, per farlo, dovettero iniziare ad indossare i pantaloni.
Durante i Giochi della VII Olimpiade del 1920 fecero la comparsa i primi indumenti simili a minigonne. Infatti la tennista francese Suzanne Lenglen indossò un abito prodotto dallo stilista Jean Patou in cui la gonna arrivava fino al ginocchio. Nei II Giochi olimpici invernali del 1928, fu la pattinatrice norvegese Sonja Henie ad pattinare con un costumino corto composto da una minigonna. Seppur in ambito sportivo e usato perché questo abbigliamento rendeva le atlete più agili, fu un importante passo verso la diffusione tra il popolo di questo vestiario.
Pochi anni dopo gonne corte e abitini da cocktail divennero il tratto distintivo di pin-up e showgirl fino a diventare negli anni 50 l’abito di tutti i giorni di attrici e donne dello spettacolo come Ava Gardner. C’è da sottolineare però che mentre le dive indossavano questi capi per scelta, le donne comuni si videro costrette ad indossare gonne più corte per via della carenza di materiale tessile causata dalla seconda guerra mondiale.
Si arriva quindi agli anni 60′ periodo in cui la minigonna viene ufficialmente creata e distribuita al grande pubblico. Se le primissime minigonne presentate da Mary Quant, per essere definite già come tali dovevano avere una lunghezza che le facesse arrivare a due pollici sopra il ginocchio (circa 5,1 cm), nell’arco di un anno erano generalmente considerate “mini” quelle che arrivavano a scoprire almeno quattro pollici sopra il ginocchio (circa 10,2 cm).
La Quant, parlando della diffusione e della nascita dell’indumento, ripeterà che la riduzione della lunghezza della gonna non era stata una sua invenzione ma una messa in pratica delle richieste delle giovani donne.
« It was the girls on the King’s Road who invented the mini. I was making easy, youthful, simple clothes in which you could move, in which you could run and jump and we would make them the length the customer wanted. I wore them very short and the customers would say, “Shorter, shorter”. »
Il fenomeno della minigonna crebbe e si diffuse grazie al contesto storico in cui venne creata: la forte voglia di cambiamento, la rivendicazione dei diritti e la necessità di un abbigliamento pratico (ed economico) fece si che questo capo di abbigliamento fosse oggetto dell’attenzione degli stilisti di tutto il mondo. Il già citato André Courrèges incluse per esempio una minigonna, meno aderente e portata con i gogo boots per la sua collezione Mod della primavera estate del 1965, introducendola quindi nella cosiddetta alta moda, mentre tra i primi stilisti a vestire nelle sfilate le modelle con delle minigonne vi fu il suo famosissimo connazionale Pierre Cardin.
Diversi fotografi come Helmut Newton o Richard Avedon immortalarono nelle loro fotografie le modelle dell’epoca con addosso la minigonna. Non solo nel mondo dell’arte e della moda ma anche in quello televisivo: sul grande schermo la minigonna irruppe grazie alla serie di Star Trek, in cui il produttore Gene Roddenberry decise di renderla parte integrante delle divise dell’equipaggio femminile dell’astronave.
Non tutti gli stilisti però apprezzarono questa gonna corta, che ricevette diverse e variegate critiche anche da personalità influenti come Coco Chanel che dichiarò il capo inappropriato citando il collega Christian Dior che in una sua intervista decreto il ginocchio come parte più brutta del corpo femminile.
L’accorciamento non si limitò solamente alle gonne: ben presto vennero creati mini pantaloni e mini abiti. Le minigonne in breve diventarono più di un semplice capo di abbigliamento. Esse si accorciarono drasticamente con il passare del tempo fino ad arrivare ad essere a soli pochi centimetri dalla biancheria intima che copriva i genitali, divenendo un simbolo della conquistata libertà sessuale femminile.
Non per tutti la minigonna venne considerata un capo avanguardista: in molti la consideravano un passo indietro nella lotta per la parità dei diritti delle donne, essendo un qualcosa che le rendeva un oggetto di attrazione sessuale. In Francia, nel 1967, la polizia accusò le minigonne di favorire gli atti di violenza sulle donne, mentre il ministro dell’istruzione francese Alain Peyrefitte chiese il ritorno dell’uniforme scolastica con gonna lunga. In Italia a criticare fortemente la minigonna fu la Santa Sede che riteneva il capo indegno per la donna. Da qui nasce il divieto per le donne di entrare in alcuni luoghi in abiti considerati succinti come ad esempio una gonna corta o una canottiera.
Nel cercare di contrastare la diffusione delle minigonne non vennero usate solo questioni di morale pubblica, per lo scandalo che questa poteva provocare, ma anche mediche: diversi medici iniziarono ad indicare nel nuovo indumento la possibile causa di reumatismi e futuri problemi circolatori. Un ulteriore motivazione che spinse all’allungamento della gonna furono le proteste del movimento femminista sempre più convinto che il capo non rappresentasse più libertà ed emancipazione ma solamente provocazione sessuale.
Per molte femministe la minigonna era quindi passata, in pochi anni, da simbolo delle nuove libertà e della conquistata indipendenza (anche economica) delle donne, indossata a volte in modo volontariamente eccessivo come forma di provocazione, a capo di vestiario da boicottare perché legato alla figura della donna-oggetto.
Nonostante questo cambio di rotta, la minigonna non sparì mai del tutto, né dalla vita comune, né nel mondo dello spettacolo e della moda.
Nel 1982 Valentino rinnovò il capo d’abbigliamento tentando ti dare alla minigonna una parvenza più casta. Lo stilista ne aumento l’ampiezza e ammorbidì la linea del capo. Lo seguirono Azzedine Alaïa e Herve Peugnet che presentarono collezioni di minigonne “miste”, sia più ampie che aderenti, avendo risentito del ritorno dello stile aderente. Tra il 1984 e il 1986 la stilista britannica Vivienne Westwood al lanciò un nuovo tipo di minigonna chiamato mini-crini, composta dalla fusione di un tutù da ballo con una struttura rigida derivata dalle crioline usate nell’epoca Vittoriana. Il capo rivoluzionario rimase relegato allo spettacolo e al mondo dell’alta moda ma segnò lo stesso un paso importante dell’evoluzione della minigonna sottolineandone ancora la versatilità.
Durante questo periodo la minigonna, nelle sue varie incarnazioni, iniziò ad essere indossata anche da personaggi pubblici non appartenenti al mondo dello spettacolo, come la principessa Diana, oltre a continuare ad essere impiegata da cantanti ed attrici, che a volte ne fecero una delle loro caratteristiche più identificabili come fece Debby Harry dei Blondie.
Nei primi anni novanta le minigonne tornano ad essere presenti con una certa costanza nelle collezioni di moda Nel 1993 Yves Saint Laurent, Gianni Versace e Karl Lagerfeld tentano di rilanciare la mini nell’ambito dell’alta moda, ottenendo tuttavia un riscontro inferiore di quello avuto nel decennio precedente.
Con il passare degli anni novanta e l’arrivo dei primi anni del 2000, telefilm e serie televisive di origine statunitense riportarono alla ribalta questo tipo di indumento, indossato spesso in scena dalle attrici protagoniste. In Italia, soprattutto tra le più giovani, ebbe forte influenza l’abbigliamento delle ragazze di Non è la RAI (1991-1995), programma criticato spesso proprio per i costumi di scena, ritenuti eccessivamente ammiccanti per le protagoniste per larga parte ancora adolescenti.
A metà degli anni novanta alcuni stilisti tra cui ancora Valentino in controtendenza rispetto ai modelli che stavano proponendo la televisione e il cinema, avevano annunciato l’abbandono della minigonna, considerata ormai un indumento del passato senza però attuarlo veramente: la minigonna infatti rimase presente nelle passerelle e ancora oggi impone la sua presenza negli armadi delle ragazze di tutto il mondo.