GUILLERMO DEL TORO, DAL MESSICO AL LIDO DI VENEZIA

The Shape of Water, Leone d’oro all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, uscirà negli USA l’8 dicembre.

Per ora non sappiamo quando sarà possibile vederlo nelle nostre sale, eppure è qui che ha trovato la sua affermazione. Sì perché, ci crediate o no, la favola visionaria di Guillermo Del Toro ha sbancato il concorso lagunare battendo ogni pronostico: la critica ha storto il naso, i veri cinefili hanno esultato. Tutto è bene quel che finisce bene.

Ma com’era cominciata questa storia? Vi ricordate del piccolo messicano cresciuto da nonna bigotta e fissato con gli orologi e gli insetti? Ancora a Guadalajara – capitale dello stato di Jalisco, nel Messico centroccidentale – lavora al make up di piccole produzioni, fonda la compagnia Necropia e persino un Film Festival. Solo più tardi avrà modo di finanziare indipendentemente i proprio lavori con la Tequila Gang.

Sono però altrettanto noti i problemi che Del Toro incontra alla fine degli anni Novanta: il padre viene rapito e liberato dietro pagamento di un riscatto e la famiglia decide di trasferirsi in California. Subito prima aveva girato l’esordio Cronos (1993), prodotto dall’amico Alfonso Cuarón, premiato a Cannes e investito da un notevole successo, e l’hollywoodiano Mimic (1997), segnato invece da un destino diverso. Deve quindi mettere da parte inquietudini e ambizioni per ripartire dal Messico e da un progetto intimista come La spina del diavolo (2001) che darà vita, con Il labirinto del fauno (2006), a una trilogia dedicata alla guerra civile spagnola tuttora priva di conclusione. A ogni modo, non ci mette molto a farsi notare di nuovo in terra yankee e a regalarci Blade II (2002), il più bel episodio della saga sul vampiro cacciatore di vampiri, e soprattutto le trasposizioni del fumetto cult Hellboy (2004, 2008) che pare avranno presto un remake. Ed è qui che il gioco si fa duro.

Infatti nel 2008 il buon Guillermo firma un contratto per dirigere due film su Lo Hobbit di Tolkien e annuncia le riprese per l’anno successivo. Tutto sembra andare per il verso giusto, finché nel 2010 racconta in esclusiva al sito TheOneRing.net che abbandonerà ufficialmente il progetto a causa di pressioni crescenti e conflitti con altri progetti già programmati. Le avventure di Bilbo Baggins tornano nelle mani di Peter Jackson e si tramutano in ciò che tutti abbiamo visto, mentre il Nostro continua la sua cavalcata scrivendo tre libri horror-procedural con Chuck Hogan e traendone in seguito la serie televisiva The Strain (2014-2017). Per rimettersi in piedi il regista non rifiuta nemmeno di girare il kolossal Pacific Rim (2013) e di produrre piccoli gioielli come La madre (2013) e Il libro della vita (2014). Ma è alla regia che da ancora il meglio di sé, come dimostra lo splendido Crimson Peak (2015).

Un percorso incredibile che andrebbe sviscerato molto più a fondo, attraversato da personalità note e meno note dello spettacolo, amici, compagni di viaggio o semplici comparse di questo vivo disegno. Guillermo Del Toro ha inseguito quello che viene definito “il sogno americano” senza mai perdere le proprie peculiarità. Cosa che forse non si può dire di certi suoi connazionali come il già citato Cuarón e Alejandro González Iñárritu. Tra i sodali c’è persino Quentin Tarantino, al quale una volta mostrò entusiasta il VHS de L’arcano incantatore (1996) di Pupi Avati, vincitore nel 1998 del Corvo d’Argento al Festival internazionale del cinema fantastico di Bruxelles, come era stato per Cronos nel 1994. Aneddoti e curiosità si sprecano nella biografia di Del Toro;  questo perché le menti geniali hanno sempre qualcosa da dire, anche quando non hanno le risorse per esprimersi al meglio.

Forse ora – grazie al Leone d’oro – riuscirà finalmente a realizzare Le montagne della follia dal romanzo di Lovecraft?

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