Com’è andata a finire la vicenda Blue Whale?

Sic transit gloria mundi: “così velocemente passa la gloria del mondo” verrebbe da dire, vedendo come si è conclusa la vicenda Blue Whale. Dalla psicosi generalizzata, dai tempi in cui ogni giorno radio, TV e giornali dedicavano indagini, approfondimenti e reportage al fenomeno, sembra quasi passato un secolo. Neppure la notizia della condanna della persona che era stata indicata in tutti quegli articoli come il criminale responsabile di centinaia di suicidi in Russia e in tutto il mondo ha ridestato l’interesse giornalistico per questa vicenda.

La coda finale della Blue Whale infatti non ha meritato grandi titoli di giornali, men che meno discussioni accanite sul Web tra esperti di fact checking e opinionisti di ogni tipo. La notizia della condanna a 3 anni di reclusione per Philipp Budeikein, considerato la mente criminale dietro il gioco della Blue Whale, è passata abbastanza inosservata. Non ha trovato molto spazio nei giornali nostrani: per esempio su siti di testate giornalistiche come TGCom24, Il Mattino e Leggo la notizia è stata data con un testo in tutti e tre i casi praticamente identico: ci si è quindi verosimilmente limiti a riprendere pari pari il lancio d’agenzia.

È stato condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione per istigazione al suicidio Philipp Budeikin, considerato uno degli organizzatori di Blue Whale, la sfida social in 50 prove che spingerebbe gli adolescenti ad atti autolesionistici fino al suicidio. Lo scrive il Moscow Times, secondo cui la sentenza è stata emessa lunedì da un tribunale della regione di Tyumen, in Russia. Budeikin è stato riconosciuto colpevole di istigazione al suicidio nei confronti di due ragazze di 16 e 17 anni. Il giovane era stato arrestato nel maggio dell’anno scorso nell’appartamento della madre, nella regione di Mosca. Budeikin aveva definito le sue vittime “rifiuti biologici”.

Anche Chi l’ha visto?, una trasmissione televisiva che era stata in prima fila nel lanciare l’allarme per il cosiddetto “gioco dei suicidi”, ha dato la notizia riportando questo stesso lancio d’agenzia, ma vi ha aggiunto anche un servizio di approfondimento, poi rilanciato pure su Rai News.

È in quel video di Chi l’ha visto? che forse si può intravedere una risposta alla domanda su come mai il mondo giornalistico italiano abbia accolto così freddamente la notizia. Nel servizio della trasmissione televisiva di Rai 3 infatti si cerca affannosamente di ricreare il clima che aveva portato al successo la vicenda Blue Whale: si apre con il video di un tentativo di suicidio, un rimando ai fasti dei servizi delle Iene, che proiettarono nello star system la Blue Whale; si prosegue poi con l’elenco concitato di vittime russe, poi si procede con il ritratto del carnefice, dipinto a tinte fosche come il solito ragazzo problematico, che fin dall’infanzia profeticamente annunciava i segni di quegli squilibri mentali che lo porteranno a sviluppare le sue tendenze criminali grazie al tragico aiuto dell’oscuro mondo di Internet, ma a questo punto ecco il problema, che porta il servizio a chiudersi quasi ex abrupto: Philipp Budeikin è stato arrestato un anno primo che iniziasse l’ondata planetaria della Blue Whale e soprattutto è stato condannato solo per l’istigazione al suicidio di due ragazze che però non hanno seguito fino in fondo le indicazioni del loro supposto “consigliere” online e così si sono salvate e Budeikin è stato arrestato.

Perfino la stampa scandalistica inglese ha riflettuto attentamente su questo punto: Budeikin non ha praticamente avuto niente a che fare con tutto ciò che è venuto dopo nel mare magnum del Deep Web sulla base di una perversa dinamica di emulazione e strumentalizzazione da parte di terzi, unita alla fascinazione di massa causata dai mass media. Philipp Budeikin, come ammesso in tribunale e in alcune interviste a giornali russi, si era limitato a ideare un concept, probabilmente mirando più che altro a un marketing della violenza (i gruppi che condividono materiali violenti e/o istigano alla violenza sono tra i siti più redditizi a livello pubblicitario). Alla fine c’era poco che potesse rientrare nella narrazione che fin qui era stata seguita dai mass media italiani. Cosa fare allora? La soluzione più semplice è lasciare che l’oblio lentamente assorba questa vicenda e così non rischiare di far ritornare alla luce le proprie precedenti ricostruzioni giornalistiche erronee.

Fonti: losbuffo.com, tgcom24.mediaset.it, ilmattino.it, leggo.it, scuolainforma.it, chilhavisto.rai.it, rainews.it, dailymail.co.uk

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