Vorrei utilizzare questo spazio per trattare di arte in senso lato. Vorrei parlare della sua conservazione e del suo ricordo. Soprattutto, vorrei parlare di quanto poco noi teniamo ad essa.
Il palcoscenico dello scempio è ancora una volta il derelitto Medio Oriente, dove l’Isis prosegue nella sua opera di devastazione ed accanimento contro il patrimonio artistico della regione.
Oggi fonti dell’Onu segnalano la violenza (o l’arroganza) compiuta dal califfato contro la sposa del deserto, la città di Palmira, in Siria.
Palmira già nel I secolo a.C. poteva dirsi una città libera, crocevia degli scambi carovanieri dell’intera area medio orientale, quindi connubio di lingue, costumi e culture differenti.
Ne riconobbe l’indiscussa grandezza l’Impero Romano stesso, con l’imperatore Adriano che nel 129 ne confermò l’autonomia, ribattezzandola Palmyra Hadriana.
Nemmeno le guerre partiche – che tanto fecero dannare Roma – sconvolsero la metropoli, che di lì a qualche secolo sarebbe stata persino (!) governata da una donna, la leggendaria Zenobia.
Oggi, le rovine di quella stessa gloriosa ricca città dal volto multiforme in quanto consorte di più culture, simbolo di libertà poiché sempre aliena da dominazioni e tanto rivoluzionaria da porre al proprio capo una donna, viene vista come minaccia dall’Isis.
Il califfato si diverte a raderne al suolo strutture e colonne, come un bambino con palla e barattoli al luna-park. Dove però le palline sono tritolo, i barattoli opere d’arte patrimonio dell’Unesco.
Rilevazioni aeree testimonierebbero come il tempio consacrato al dio fenicio Baal sia stato raso al suolo, con la stessa stupida brutalità del piede che schiaccia un fiore godendone.
Il tempio risaliva al primo secolo d.C., espressione di un’arte architettonica greco-fenicia che incontrava elementi tipicamente mesopotamici… come del resto era inevitabile accadesse.
“Un crimine intollerabile contro l’umanità che però non cancellerà 4500 anni di storia”
arringa Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco.
Senza dubbio, parole sacrosante. Ma sulla seconda parte della frase sono discorde, fortemente. Come possiamo essere sicuri che la storia non venga cancellata? Immaginiamo che di colpo ogni opera d’arte sparisse dalla faccia della terra. Cosa rimarrà a quel punto della nostra fantomatica storia, essendo essa prima di tutto testimonianza del passato?
O meglio. Come alimentare una testimonianza senza le prove?
Noi certo non possiamo schierarci al di fuori del tempio di Palmira ed impedirne la distruzione.
Ma possiamo sicuramente denunciare il massacro, sperando che la testimonianza fermi l’oblio e sensibilizzi gli ignoranti. Possiamo nel nostro piccolo farci messi della storia.
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