Francesca Michielin, “Vulcano”: un’analisi testuale

V come Veneto, la sua terra di origine. V come ventidue anni. V come Vulcano.

Francesca Michielin torna sulle scene musicali ad un anno e mezzo dalla pubblicazione di di20are, riedizione del secondo album della cantautrice di Bassano, e lo fa attraverso la carica deflagrante di Vulcano, singolo che anticipa il suo nuovo progetto discografico.

Con un “brano up tempo magmatico, elettrico ed urban allo stesso tempo”, Michielin intende far metaforicamente brillare in superficie quella polvere pirica che è materiale di combustione per il suo universo interno di autenticità, mettendo a tacere ogni pretesa di compostezza formale ed artificiosa. Nonostante l’impianto accademico dell’artista – dettato soprattutto dagli studi conservatoriali -, è la sbrigliatezza che domina i ritmi elettronici e le componenti testuali del brano, quel dinamismo controllato proprio solo di chi sa destreggiare il linguaggio della musica e piegarlo alle proprie scelte artistiche, anche con l’uso esasperato di alcuni tecniche retoriche.

L’atomo consonantico “V” viene ripetuto ben 41 volte durante l’esecuzione del pezzo, introdotto sin dall’incipit della prima strofa come una lontana e martellante eco, quasi per voler imporre la lettera a marchio dell’intero brano. Un filo rosso, come un rivolo di lava, che fonde con la sua incisività fonica il contrasto tra vanità e verità insieme a quegli elementi fisici propri dell’imponente grandiosità del vulcano: il volume, inteso come misura dello spazio del cono della montagna e dell’intensità energetica del suono dell’eruzione, e la vertigine, il tipico disturbo dell’equilibrio ad alta quota.

L’atmosfera sinestetica viene accentuata dal continuo passaggio dal piano della rappresentazione della natura nobile e incontrollabile a quello dell’esperienza individuale, quotidiana ed apparentemente anonima. Lo smarrimento dovuto alla vertigine, interpretabile come effetto dell’incontro col vulcano o con un uomo, è preceduto dall’inserimento di simboli metropolitani, dei lampioni e un bar indiano. Anzi, il bar dell’indiano (che profuma di te o di tè?), non uno qualunque lungo la via, ma quello solito: un nonluogo che assorbe ad un tratto rilevanza e dignità artistica, diventando fuoco semantico del ritornello e sfondo dell’identificazione della cantante col vulcano stesso. La donna si perde tra i lapilli nella luce fioca dell’alba, si sgola ai lati della strada, mentre tutti quanti ancora dormono ignari.

Non è un caso se la location scelta per la registrazione del video, pubblicato online il 21 luglio, è stata Berlino, capitale della vita notturna europea. Registrato in poche ore e con la partecipazione di alcune comparse locali, per conferire alle scene maggiore spontaneità, il video è stato presentato proprio in una gastronomia indiana, fonte di ispirazione per la scrittura dell’intero album, prodotto da Michele Canova e in uscita ad autunno.

 

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