Un semplice bisogno fisiologico, quello di mangiare, necessario e vitale. Ma pensiamo mai a quanto cibo va sprecato? Spesso e volentieri più del 40% del cibo che avanza dalle nostre tavole va a finire nella pattumiera. E senza rendercene conto buttiamo via un quantitativo di vivande commestibili in grado di sfamare tante persone.
Può sembrare un’esagerazione, ma le cose stanno così. In Italia ogni famiglia spreca, in termini economici, 360 euro l’anno. Un danno per le proprie tasche, oltre che per l’ambiente.
Nel 2016 con la legge 166 il Nostro Paese è il secondo, dopo l’esempio della Francia, a dotarsi di una normativa specifica per gli sprechi alimentari. La legge prevede incentivi per chi si dimostrerà virtuoso e uno snellimento burocratico per tutti coloro che possiedono un’attività in questo settore. In particolare le attività gastronomiche, gli alimentari, i panifici, ma anche i negozi di abbigliamento e le farmacie potranno donare le loro eccedenze ai bisognosi e alle associazioni e organizzazioni no profit ricevendo in cambio dei benefici a livello fiscale. Di cosa si tratta? Si tratta di uno sconto sulla tassa dei rifiuti che sarà proporzionale al cibo o altro materiale che si è donato.
Il meccanismo naturalmente funziona soltanto a patto che anche le Regioni e i Comuni decidano di varare linee guida e regolamenti per promuovere comportamenti virtuosi. In questo senso, ognuno può fare la sua parte, perfino le mense scolastiche, aziendali o ospedaliere. Tutto questo in un’ottica di solidarietà sociale. L’obiettivo è quello di trasformare lo spreco in una risorsa.
Con questo provvedimento legislativo il Nostro Paese è tra i più virtuosi, almeno su carta. In realtà, la legge può solo fornire una prescrizione, può tentare di indirizzare i cittadini verso un consumo più consapevole. Sono necessari progetti di rieducazione della società, pur essendo state già inaugurate diverse iniziative. Un esempio? Il libro di Andrea Segrè, preside di facoltà della Facoltà di Scienze Agraria di Bologna, dal titolo “Last minute Market. La banalità del bene e altre storie contro lo spreco”. Il volume nasce per combattere lo spreco e per fornire dei consigli su come recuperare il cibo anziché buttarlo via. In particolare, Andrea Segrè si occupa da anni di raccogliere la merce invenduta ma ancora idonea per essere consumata e di farla arrivare alle strutture caritative. Perché quello che pensi debba andare buttato può ancora aiutare qualcuno.
Altra importante iniziativa è stata quella della “Doggy bag” che letteralmente significa “borsa per cane”. L’iniziativa nasce per raccogliere gli avanzi da destinare agli animali domestici, anche se non è detto che le cose stiano sempre così. Infatti, negli ultimi anni tale pratica, che peraltro risale al dopoguerra, è ben diffusa tra le persone. L’idea è quella di portarsi dietro in un apposito contenitore il cibo che avanza dai ristoranti e di consumarlo il giorno seguente. In Italia il fenomeno sta prendendo sempre più piede anche se c’è ancora chi prova un po’ di imbarazzo ad avanzare questa richiesta al cameriere. Intanto molti ristoranti e pizzerie -soprattutto a Milano, Piacenza, Bologna e altre città del Nord Italia – hanno aderito all’iniziativa tanto che nel capoluogo lombardo è diventato quasi un must camminare tra le vie del Centro con la “schiscetta” firmata Doggy bag, divenuto un marchio famoso.
Tante sono le ragioni dello spreco alimentare. Basterà elencarne alcune per rendersi conto che tutti, più o meno volontariamente, gettiamo via del cibo che, invece, con le dovute accortezze potrebbe essere ancora consumato. Tra i fattori di questa cattiva abitudine vanno rintracciati l’eccesso di acquisti generici, prodotti scaduti o andati a male, un eccesso di acquisti dovuto a offerte o promozioni convenienti e anche prodotti che dopo l’acquisto non vengono graditi. Spesso è uno spreco anche cucinare tonnellate di cibo e buttare via quanto avanza perché freddo, divenuto incommestibile o apparentemente immangiabile. Un comportamento corretto e virtuoso parte proprio dalle nostre case.
Ma non solo, circa il 50% del cibo sprecato non arriva nemmeno a tavola. Si tratta di cibo che va male in azienda, che si perde o diventa immangiabile durante la distribuzione. Resta il fatto che molto deve essere fatto, soprattutto dall’ultimo anello della catena della produzione, cioè il consumatore. Secondo la Fao, solo il cibo sprecato in tutta Europa potrebbe sfamare circa 200 milioni di persone. I paesi più virtuosi sono sicuramente la Francia, l’Australia e il Sudafrica cui fanno da contra altare paesi come l’Arabia Saudita, l’indonesia e gli Emirati Arabi che devono mettere in cantiere progetti per la tutela dell’ambiente e per evitare gli sprechi. A loro spettano le sfide più difficili. L’Italia dal 2016 è tra quei paesi che stanno muovendo i primi passi verso un consumo più consapevole e una riduzione degli sprechi.
FONTI:
-Il Sole 24 Ore
-GreenPort
–La Repubblica
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