Immagini evanescenti a colori pastello, palloncini gonfiati con la gomma da masticare, e se fossero un profumo: vanigliato, come l’immaginazione dei bambini. È la prima impressione davanti agli acquerelli di Stella Maria Baer, pittrice e fotografa originaria di Santa Fe, New Mexico.
“I’ve been painting for 8 years. For many years it was a private, nearly secret practice. From 2009 to 2012 I worked for artist Titus Kaphar as a studio and research assistant. For the past two years I’ve been working as much as possible on my own work. My favorite thing about being a painter is the way my work defies my own expectations. Paintings never turn out exactly how I think they will, which puts me in a place of discovery in my studio”.
Un lavoro di studio e di ricerca, quello della Baer, di una mente originale che ben si è difesa dai binari della banalità. Il suo nome, inizialmente legato a soggetti animali, ha poi subito una svolta nel campo della notorietà con il felice progetto legato a soggetti astronomici. Iniziò per gioco, circa due anni fa, con la condivisione dei lavori sul suo profilo Instagram; ad oggi il contatto annovera 156k seguaci. Ci sono sorpresa e meraviglia nelle lune e nei pianeti che dipinge, una qualità eterea che conduce l’osservatore in una terza dimensione, priva di forza gravitazionale. Marte, Giove, Venere, Ganimede, Plutone: le sfere trasmettono con empatia quell’aura di serenità e sospensione che caratterizza l’artista nell’atto della creazione. Nell’intervista rilasciata al The Morning News (www.themorningnews.org) spiega:
“In the sphere I found a balance of limitation and freedom, a way I could experiment with color and bleeds within a space that felt both infinite and finite”.
Tutto cominciò all’indomani della luna rossa dell’aprile 2014, e, una volta appreso che la sonda spaziale New Horizons avrebbe spedito nuove immagini di Plutone e della sua luna Caronte alla Terra, le venne l’illuminazione. Cominciò a dipingere i due soggetti trasportandoli dal computer alla tela, cercando di rimanere fedele alla loro natura e allo stesso tempo senza privare acqua e colore dei loro giochi imprevedibili.
Ma nulla sarebbe stato possibile se la Baer non avesse potuto attingere ai suoi ricordi di bambina, cresciuta a ridosso del deserto di Santa Fe. A quel tempo, spiega, non vedeva l’ora di cambiare città; solo una volta adulta e trasferitasi, si innamorò della terra da cui proviene. E nel Canyon le linee, i colori, tutto si mescolò nella sua testa per poi essere riportato nei suoi dipinti. Dipingere lune e pianeti è un modo per far sgorgar fuori il ricordo del deserto, in una strana mitologia che lega Santa Fe e cosmologia.
“I hope my work will have a life of its own. I hope my work will speak to something that can’t be spoken“. E lo fa, senza veli.
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