Quando si affrontano temi che includono la vita e la morte – che, per altro, ci riguardano da vicino in ogni giorno della nostra esistenza – bisogna curarsi di trattarli con tatto, dignità e umanità. E, in un caso come quello di Charlie Gard, proprio di tatto, dignità e umanità si deve parlare, prima che di medicina e di scienza.
Charlie Gard è un bambino di nazionalità inglese nato il 4 agosto scorso e affetto da una rara patologia, la mitocondriopatia: si tratta di una malattia genetica che indebolisce progressivamente la muscolatura e di cui ancora non si conosce la cura. Al mondo esistono solo sedici casi di mitocondriopatia e il piccolo Charlie, per sua sfortuna, era segnato: i suoi genitori, Connie Yates e Chris Gard, sono entrambi portatori di questo difetto genetico. La malattia, provocando disfunzioni muscolari, comporta danni ad organi vitali e costringe Charlie Gard a vivere dipendendo da macchinari che lo mantengono in vita presso il Great Ormond Street Hospital di Londra.
Dopo aver tentato varie terapie, i medici del Great Ormond hanno stabilito che non ci fosse alcun margine di miglioramento per Charlie e che, anzi, qualunque ulteriore tentativo non avrebbe fatto altro che incidere in maniera negativa e dolorosa sullo stato del bambino: da qui la richiesta di interrompere le cure per evitargli ulteriori sofferenze. I genitori, a quel punto, si sono rivolti all’Alta Corte, poi alla Corte d’Appello e alla Corte Suprema nell’aprile 2017 per vedere riconosciuta la loro volontà di portare il figlio negli Stati Uniti e tentare una cura sperimentale, ma i giudici si sono sempre espressi in accordo con quanto stabilito dai medici; anche il tentativo di rivolgersi, nel giugno 2017, alla Corte Europea dei Diritti Umani – che si è rifiutata di intervenire nella vicenda – è stato un buco nell’acqua.
Il 30 giugno era prevista l’interruzione delle cure per Charlie Gard, ma i medici hanno concesso dell’altro tempo alla famiglia per stare assieme al bambino. Ai genitori non è stato neppure permesso di trascorrere gli ultimi momenti assieme al figlio nell’intimità della propria casa, poiché l’ospedale, a detta dei medici, avrebbe garantito la migliore assistenza al piccolo e la riduzione al minimo della sofferenza.
Un ulteriore risvolto nella vicenda si è verificato l’11 luglio, data in cui la Corte Suprema del Regno Unito ha concesso 48 ore di tempo ai genitori di Charlie Gard per produrre nuove prove a favore della concreta possibilità di miglioramento che la cura sperimentale offrirebbe al bambino.
Enormi sono stati l’attenzione mediatica nei confronti del caso e il sostegno nei confronti dei genitori, al punto che la raccolta fondi (#Charliesfight) per avere accesso al trattamento sperimentale aveva raggiunto circa 1,2 milioni di sterline.
Cosa colpisce di questa vicenda? Tutta l’attenzione che il caso ha ottenuto è probabilmente dovuta alle problematiche etiche sollevate: chi deve avere l’ultima parola in una vicenda delicata come questa? Può lo Stato scavalcare il potere decisionale di una coppia di genitori nei confronti della vita del figlio? E perché la Corte Europea dei Diritti Umani ha scelto di non esprimere un giudizio sul caso?
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