Il mondo della moda – e, più in generale, del lusso – è tutto fuorché una passeggiata sul catwalk. Quello che spesso passa inosservato è che, dietro agli sfarzi delle settimane della moda e delle sfilate in hotel di lusso, si cela un mercato da quasi 2,5 trilioni (milioni di miliardi, ndr.) di dollari – in costante aumento – opportunamente studiato e puntualmente rilevato dalle principali istituzioni finanziarie (ci si riferisce, in questa sede, al The State of Fashion 2017, redatto dalla società di consulenza McKinsey&Co.). In occasione della recente acquisizione, per circa un miliardo di dollari, del marchio di calzature Jimmy Choo da parte del gruppo Michael Kors, parso ripreso da una recente crisi economica che lo aveva costretto ad annunciare la chiusura di più di cento negozi in giro per il mondo e pronto a lanciare il guanto di sfida agli altri grandi conglomerati del lusso, sembra il caso di soffermarsi e capire quali investimenti ci siano dietro ai più famosi luxury brand mondiali.
Come prevedibile, il mondo del lusso detta le proprie linee-guida dai palazzi parigini. In testa alla classifica, infatti, svetta agilmente il colosso Moët Hennessy Louis Vuitton (LVMH), controllato dal francese Bernard Arnault per tramite di Christian Dior S.A.: oltre a contare sugli incassi della linea Dior, il gruppo comprende, fra le altre società, Bulgari, Louis Vuitton, Moët & Chandon, Fendi e Givenchy, giovando peraltro del supporto del quotidiano francese Les Échos, anch’esso afferente allo stesso proprietario. A seguire si trova un’altra holding francese, denominata Kering, fondata e gestita dalla famiglia Pinault: ad essa afferiscono brand quali Gucci, Yves Saint Laurent, Puma, Pomellato. Infine, non va dimenticata la rilevanza del gruppo Jab della famiglia Reimann, che conta nelle sue fila società del calibro di Belstaff e Bally, con partecipazioni nella già citata Jimmy Choo. A livello italiano, invece, nonostante le strutture societarie siano più frammentate, va senz’altro ricordata la famosa casa di moda di proprietà della famiglia Armani, con introiti annuali degni di una holding multinazionale, oltre agli innumerevoli brand autonomi ancora in mano italiana e che sviluppano business plan in autonomia, senza afferire a grandi gruppi.
Come si può vedere, dunque, il mercato del lusso non è dissimile da altri settori economici, e dietro a un’apparente immagine di frivolezza c’è spesso una solida organizzazione economica: basti pensare che Arnault, con l’ausilio della banca d’affari Lazard e grazie a una fine operazione di ingegneria finanziaria, a suo tempo riuscì ad ottenere il controllo del gruppo LVMH con una partecipazione azionaria minima. Peraltro, il mondo degli investimenti, dei finanziamenti bancari e delle emissioni obbligazionarie dietro le vetrine dei luxury brand è notevole e in costante aumento, costituendo un’ingente voce nelle economie dei paesi più sviluppati.
Images: copertina (Photo by Paolo Costa Baldi. License: GFDL/CC-BY-SA 3.0)
Fonti, inter alia: The State of Fashion 2017 (Report); Sole 24 Ore; The New York Times