“Devo dirlo alle ragazze!”
Questo è il primo pensiero che mi sfiora la mente appena esco dalla Scuola di Giornalismo di Milano, la mia città. Ancora non ci posso credere: mi hanno presa! Il mio sogno non mi sembra più così irraggiungibile.
Dall’età di quindici anni desidero solo una cosa: diventare giornalista. Per questo, finito il liceo, mi sono iscritta subito alla facoltà di Linguaggi dei media in Cattolica, con indirizzo informazione, dove si studiano materie inerenti al mondo del giornalismo. Terminata la triennale, ho poi proseguito gli studi specializzandomi in filologia moderna, indirizzo editoriale. Tutto sembrava procedere per il meglio: diploma e laurea con il massimo dei voti, specializzazione in editoria, mai fuori corso, collaborazioni stage di rilievo. Tutto questo fino alla prima batosta che ho ricevuto: il test per l’ammissione al master di giornalismo.
Ricordo ancora quel giorno: l’ansia dei risultati, l’attesa di quei pochi minuti che mi separavano dal giudizio della commissione d’esame, la speranza e infine… una totale e cocente delusione.
Ammetto di essermi sentita persa, spaesata totalmente. Che cosa avrei fatto ora? Avevo investito ben cinque anni della mia vita sui libri per superare quel maledetto test, non ce l’avevo fatta.
“Tesoro, forse hai bisogno di staccare un po’… sei così sciupata… non hai nemmeno il fidanzatino… una bella settimana alle terme? Che dici, prenoto?” l’idea non poteva che essere di mia madre. Risolveva i problemi così: una settimana alle terme, tre giorni in Baviera, un week endino a Parigi. Invece di scartare totalmente quello che lei mi proponeva, come facevo abitualmente, la presi alla lettera: avevo bisogno di staccare. Decisi nel giro di due giorni: sarei andata a Londra, per fare uno stage in una testata giornalistica. Così partii.
Non mi pentii della scelta, anzi. Feci una delle esperienze pi belle e intense della mia vita. Ho vissuto un anno a Londra, lavorando e facendomi nuovi amici stranieri (evitavo a priori di fraternizzare con gli italiani). Quella città mi ha dato molto: mi ha insegnato a vivere, ad arrangiarmi, ad adeguarmi, a non dare tutto per scontato e soprattutto, Londra mi ha insegnato bene a parlare inglese e a lavorare in un giornale.
Torniamo a oggi. Ero pronta, preparata come per andare in battaglia. Armata fino ai denti di tutto ciò che sapevo. La parte scritta del test, che avevo dato la settimana prima, era andato bene. L’avevo passato con 92%, un risultato eccellente. Mancava l’orale, affrontare per la seconda volta la terribile commissione. Ero arrivata alle sette del mattino: già c’era una fila di persone davanti a me che doveva sostenere il colloquio. Le ore passavano.
Sette persone davanti a me. Avevo studiato anche la notte l’ultimo mese, ero pronta.
Cinque persone davanti a me. Tuttavia dovevo ammettere che il capitolo quarantadue non l’avevo ripetuto al meglio.
Tre persone davanti a me. A dire il vero anche altri capitoli li avevo letti e basta.
Due persone davanti a me. Forse non ero così pronta. Anzi, non lo ero per niente. Stavo per fallire un’altra volta.
Una sola persona. Mi ero dimenticata di ripetere la cronologia! Sapevo che mi mancava qualcosa! Ero impreparata. Panico.
Anche l’ultima persona che mi precedeva era entrata per sostenere il colloquio con i docenti, metà dei quali erano giornalisti affermati che non avevano tempo da perdere con dei mocciosetti come noi.
Forse facevo in tempo ad andarmene. Forza, alzati e scappa finché sei in tempo. Scattai in piedi, avevo i palmi delle mani sudaticci. Mi girai verso la porta per uscire quando…
“Mariani? Nicole Mariani?”
Panico. Ok, calma e sangue freddo. Mi rigirai per vedere uscire la ragazza prima di me con gli occhi lucidi. Rassegnata, entrai nella stanza.
Sospiro di sollievo. Quando la presidentessa della commissione mi aveva stretto la mano facendomi i complimenti, la cosa divenne definitiva. Ce l’avevo fatta.
“Devo dirlo alle ragazze!”
Il mio primo pensiero è questo. Rendere partecipi le mie amiche: Vittoria, Aurora, Mia, Ingrid, Beatrice e Ludovica. O meglio, “le ragazze del sabato sera”, come ci avevano soprannominato scherzosamente i nostri amici. Infatti, il sabato sera non esistiamo per nessuno: fidanzati, genitori, lavoro, conoscenti… il sabato sera è nostro. La nostra serata che puntualmente spendiamo al Madison, un lounge bar in Porta Romana. Conosciamo il proprietario, Mario, tutti i camerieri, abbiamo fisso il nostro tavolo da sette e fissi sono anche i drink che ordiniamo.
Prendo dalla borsa il cellulare e vedo che proprio in quel momento Ludovica mi sta chiamando.
“Sì?” rispondo io, già pronta a dirle la mia novità.
“Nicky! Ci sono news, sabato sera al Madison?” la voce affannata della mia amica un po’ mi preoccupa.
“Ludo, tutto bene? Comunque sì, certo che ci sono. Solita ora? Ma che succede? Stai male?”
“No, no… io tutto bene, mi ha appena chiamato Auri… è tornato Marco dall’Australia!”
a cura di Federica Premi