La scienza non riesce più a comunicare: i casi vaccini e ebola

La questione vaccini continua a far parlare un po’ tutti, sia che si abbiano buone conoscenze a riguardo sia che si creda a dicerie e leggende metropolitane. È palese, e in questa diatriba emerge sempre più, come il mondo della scienza abbia perso la capacità di comunicare con le persone e di trasmettere loro conoscenza. Alcuni pilastri della divulgazione restano solidi, ma ad erodere le fondamenta del sapere c’è uno sciame di siti e blog che contengono grandi bufale scientifiche a cui però purtroppo molti credono. È forse venuta meno la fiducia nella medicina?

Confrontando la nostra società con i paesi più poveri, si può notare un paradosso: nel terzo mondo il vaccino è visto come benedizione, mentre in un paese avanzato come il nostro ci sono persone che lottano per non vaccinare i propri figli. Fino agli anni ’50 in Italia era presente la poliomielite; data la pericolosità, non c’era bisogno di spingere le famiglie a vaccinare i propri figli, perché gli effetti della malattia venivano visti nella quotidianità sui molti bambini colpiti. La paura della malattia è venuta a mancare proprio grazie ai vaccini, ma in questa attuale follia anti-vaccinista potrebbero tornare patologie molto gravi, apparentemente eliminate da anni. Si può quindi dire che i vaccini siano vittime del loro successo.

 

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L’emergere di una malattia o di un disturbo e la diffusione del rispettivo vaccino non sono consequenziali: per comprendere la situazione, bisogna compiere delle indagini epidemiologiche. Da esse è emerso che, prendendo in considerazione vaccinati e non, autismo allergie ed epilessia hanno la stessa incidenza, quindi non sono collegate alla somministrazione del vaccino; viceversa, le malattie per cui vengono somministrati i vaccini hanno una minor incidenza sui soggetti vaccinati. I vaccini sono il farmaco col minor numero di effetti collaterali, che sono rarissimi. Il più grave è una reazione allergica, uno shock anafilattico, che però colpisce una persona su 2 milioni. Non è tuttavia possibile prevederlo, quindi gli esami pre-vaccinali non hanno senso. In caso di shock, esso avviene subito dopo la vaccinazione, quindi si consiglia di restare 30 minuti nello studio del medico, in modo da avere rapide cure in caso si manifestasse: per questo non si registrano decessi per shock anafilattico da vaccino.

Gli Stati Uniti hanno messo in allarme i propri cittadini in caso di viaggi in Italia per il rischio di contrarre il morbillo e anche nei nostri telegiornali è sempre meno raro sentire notizie su decessi dovuti a questa malattia. Il morbillo non mostra sintomi gravi o immediatamente riconoscibili e una persona affetta può arrivare a contagiarne altre 18. Se tutti si vaccinassero, il morbillo scomparirebbe, quindi teoricamente poteremmo essere pronti ad una futura epidemia di morbillo perché l’antidoto esiste – è il vaccino – , ma di fatto esso non viene usato. Emblematico è il caso dell’epidemia di morbillo scoppiata nel 2014 in California a causa del calo delle vaccinazioni. È intervenuto allora il padre di un bambino sopravvissuto alla leucemia ma che non poteva essere vaccinato perché troppo debole e, andando nelle scuole, ha scoperto che il 20% dei bambini non era vaccinato, nonostante si trattasse di una zona borghese, quindi di famiglie con tutte le possibilità economiche. Egli ha portato la questione alla corte di giustizia dello Stato, che ha introdotto l’obbligatorietà, che va proprio a difendere chi non può permettersi un vaccino, quindi i bimbi troppo poveri, troppo piccoli per essere vaccinati o troppo deboli per assumere un vaccino in sicurezza perché spesso affetti da tumore o leucemia. La vaccinazione è quindi anche un atto di responsabilità sociale.

Se questo è ciò che viviamo quotidianamente e se i paesi del terzo mondo ci sembrano così lontani da noi dal punto di vista sanitario, esiste però un parallelo. Durante l’epidemia di ebola in Liberia, l’emergenza è stata affrontata senza gli strumenti adatti, perché mancavano un vaccino e una terapia efficaci. Si tratta di una malattia che si diffonde per contatto, quindi il più a rischio è proprio il personale sanitario. Durante l’epidemia si sono inoltre bloccate le vaccinazioni, esponendo ora potenzialmente la popolazione a ipotetiche future epidemie. Durante l’emergenza ebola, c’è stato un problema di comunicazione perché, nonostante i proclami a consegnare i malati ai medici e a non toccarli, i contagi aumentavano. Gli antropologi hanno capito che le persone pensavano che chiamare un medico per portare via il proprio caro malato significasse farlo morire sicuramente, data anche la presenza di un retaggio coloniale per cui c’è un constante timore dell’uomo bianco, venuto a studiare e a fare esperimenti sugli abitanti del luogo. Tolta questa componente pregiudiziale, emerge una comunanza tra il comportamento degli anti-vaccinisti e quello dei liberiani che non portano i malati dal medico: si tratta di diffidenza. E questa mancanza di fiducia verso la medicina, tanto pesante ora in Italia, è stata forse causata proprio dagli stessi dottori. I frequenti casi di malasanità, gli scandali che coinvolgono le aziende ospedaliere e anche la difficoltà che il mondo scientifico ha nel comunicare e creare un rapporto con la popolazione, portano un allontanamento reciproco tra persone comuni e scienza. Il caso di ebola è il caso di una malattia rara su cui sperimentare è complesso: con l’allontanamento dell’emergenza nel tempo, essa spaventa di meno e viene quindi studiata meno. Ad ora il mondo non è pronto per una futura epidemia.

Credits: pixabay

Fonti: Intervento “Vaccini nel primo e nel terzo mondo”, di Roberto Burioni e Valerio La Martire, presso Tempo di Libri in data 22 aprile 2017

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