Di Ilaria Zibetti
Per Giuseppe Verdi, William Shakespeare è stata una fonte preziosa per quanto riguarda i soggetti delle proprie opere, in quanto rispondeva -tra le altre qualità testuali- a un criterio di efficacia teatrale indispensabile per la realizzazione dei suoi lavori.
Furono tre in particolare le opere che Verdi creò a partire dai drammi del bardo: Macbeth (1847), Otello (1887) e Falstaff (1893); di quest’ultima parlai in un articolo qui della differenza fra versione teatrale e versione lirica. Macbeth però risulta particolare in quanto costituisce un punto di svolta deciso per il compositore, poiché Verdi riesce a far propria la relazione fra musica e dramma al fine di creare una nuova forma di teatro. Per cui narrerò, come di consueto in Plot Opera, la trama accompagnata da una breve riflessione e noterete che “Game of Thrones”, famosissima serie tv tratta dall’omonima saga di libri, non s’è inventata niente.
L’azione ha luogo in Scozia. Il generale Macbeth, assieme al suo caro amico Banquo, sta tornando da una sanguinosa battaglia contro i ribelli del loro re, Duncano. S’imbattono ad un certo punto in un gruppo di Streghe le quali profetizzano a Macbeth di divenire prima sire di Caudore e infine re, mentre Banquo sarà padre dei futuri sovrani. Poco dopo alcuni soldati riferiscono a Macbeth che Duncano ha condannato a morte per tradimento il sire di Caudore ed ha assegnato a lui quel titolo, come ricompensa per i servigi resi. Da questo momento per lui le “spirtali donne” saranno fonte di sciagura e di un’ascesa terribile, prendendole come punto di riferimento peggio che con Paolo Fox e il suo oroscopo. Sua moglie, Lady Macbeth, informata della profezia, decide di spingere il marito a compiere il regicidio per impossessarsi dello scettro scozzese. Quella notte, complice il propizio giungere di Duncano come loro ospite assieme alla Corte, Macbeth decide di compiere il delitto sebbene se ne penta subito. La Lady prova a spronarlo, perfino insultarlo, per fargli tornare il vigore e l’astuzia per dissimulare il misfatto.
La scalata del condottiero sembra inarrestabile e sicura, dato che viene nominato re, eppure la vita di Macbeth è tormentata dalla profezia. Per evitare che la stirpe di Banquo gli sottragga il soglio, decide di assassinare l’amico e il di lui figlio. Durante il banchetto che viene imbastito in onore dei sovrani quel giorno stesso, il fantasma sanguinante del compagno d’arme ucciso si presenta a turbare la mente e il cuore ormai anneriti di Macbeth, nell’imbarazzo generale e specialmente della consorte.
Da questo punto in poi, la coppia di sposi perde la sintonia e la complicità, andando incontro a terribili destini. Nel frattempo il re interroga ancora le Streghe, vero motore della vicenda, le quali lo avvertono di stare attento al nobile Macduff (anch’egli guerriero e membro e della Corte), che sarà invincibile in quanto nessun uomo nato da una donna potrà scalfirlo e infine che il suo potere resterà saldo fino a quando non vedrà muoversi la Foresta di Birna. Ciò nonostante gli spettri dei discendenti di Banquo regneranno… Dopo questo colloquio paranormale con gli Inferi, Macbeth ordina lo sterminio della famiglia di Macduff e continua la sua politica tirannica con maggior veemenza.
Macduff scopre della strage dei suoi cari mentre è in esilio assieme al figlio di Duncano, Malcom, e ad altri scozzesi fuggiti dalla patria oppressa. Davanti all’ennesima ingiustizia sanguinosa, i profughi trovano il coraggio di organizzare un attacco militare guidati da Malcolm e Macduff e, per mimetizzarsi, decidono di recidere i rami della foresta di Birna e portarli in battaglia.
La fine tragica è ormai prossima: Lady Macbeth, lacerata dai sensi di colpa per i delitti da lei istigati e incapace di controllare il marito, comincia a soffrire di sonnambulismo con annessi deliri a cui il medico di Corte non può far fronte. Muore improvvisamente e la reazione del consorte è la frase: “La vita? Che importa! È il racconto di un povero idiota…” Inizia a comprendere che il suo destino è scritto e la morte incombe, ciò nonostante si dimostra risoluto e affronta in battaglia proprio Macduff. Quest’ultimo, strappato dal seno materno appena venuto al mondo, si scopre essere l’unico uomo a poter eliminare Macbeth. Così accade e viene ripristinato sul soglio, con giubilo dei vincitori, il legittimo erede di un trono ormai lordo di sangue.
Le lotte intestine per il potere sono vecchie quanto il mondo e la civilizzazione umana non ha fatto altro che complicare questi conflitti, raffinando gli intrighi o rendendoli più cruenti. In quest’opera riemerge uno dei tempi verdiani più tipici: il rapporto tra destino e volontà. Sebbene le Streghe abbiano espresso le loro profezie, è Macbeth che decide di commettere il primo omicidio e a incalzare i suoi istinti ci pensa sua moglie. La Lady, seconda tragica protagonista, non è un personaggio meno importante del marito in quanto lo lusinga con le sue parole e il suo fascino a compiere quel fato che sembra già scritto. La sete di potere di questa donna – secondo alcuni studiosi è una compensazione per la sua impossibilità ad avere figli – la rende conturbante e potente, una figura impossibile da dimenticare. La sua discesa nella follia e, di conseguenza, nella morte, coincide con la solitudine nella quale si ritrova dal terzo atto, ossia quando il consorte la estromette dalle sue iniziative delittuose, lasciandola sola con sé stessa e coi rimorsi della coscienza che si fanno inesorabilmente sentire.
A proposito di figure femminili. Come già detto precedentemente, le Streghe sono il vero motore della vicenda, un coro che si dimostra essere un soggetto unico, probabilmente incarnazione del destino che trama e predispone fortune e disgrazie agli uomini. Compiono rituali misteriosi, evocano spiriti e sono consapevoli fin dal principio della storia che se Macbeth prenderà per vere le loro parole, sprofonderà in un vortice di sangue dal quale non riemergerà mai più. L’uomo vorrebbe da loro continue rassicurazioni sulla stabilità del suo potere, ricevendone solo auspici dal significato ambiguo o metaforico. Non certamente una base solida. Lugubri, inquietanti, orribili anche nell’aspetto fisico, (vengono descritte come donne “dalla sordida barba”) le Streghe sono un elemento essenziale per quella teatralità a cui aspirava Verdi e le melodie ad esse dedicate sono perfette per un’atmosfera di spavento e mistero. Quasi da Halloween.
L’antieroe della vicenda, Macbeth, è un soggetto complicato da analizzare. Apparentemente è succube della personalità volitiva della moglie, poi d’un tratto s’impone con un carattere stoico, feroce e risoluto nelle sue azioni sanguinarie. In seguito ripiomba nello spavento davanti ai fantasmi -personificazioni dei sensi di colpa a mio parere-, nell’incertezza dell’esito delle sue malefatte e nel rimorso di aver perduto l’innocenza passata, la pace dell’anima e l’amore. L’amore, perché la chimica e la sintonia con l’adorata moglie diminuiscono a ogni goccia di sangue versato, fino ad arrivare a pronunciare la celeberrima frase: “La vita, che importa?…”, come massima espressione di cinismo e di senso di fatalità. Una sorta di rassegnazione accolta quasi seraficamente, in quanto avrebbe potuto finalmente smettere di fare attenzione, avere ansia e di doversi difendere da chiunque in quanto, citando Machiavelli, era costretto a “vivere col coltello in mano”, in guardia contro il mondo intero. Il suo destino non fu segnato dalla profezia, bensì dalla propria volontà.
Si può dire in conclusione che l’ambizione si tramuta in questo caso in oscura malvagità quando è fine a sé stessa, cieca, amorale, e portatrice di un rimorso rancoroso. Sporca l’anima di macchie nere e limacciose come petrolio, facendo scordare la serenità. Il vero mezzo per ottenere successo e poter riposare con la coscienza a posto la notte, sembra suggerirci la storia, è di impegnarsi con onestà e dedizione ai propri obiettivi senza lasciarsi tentare fa strade facili.