Tutti gli scrittori raccontano di persone. Ovviamente non tutti i libri mettono al centro l’essere umano, le sue vicissitudini e relazioni interpersonali. Alice Munro è tra quelli che riescono meglio a raccontare gli esseri umani: premio Nobel per la Letteratura nel 2013, è la più grande scrittrice anglo-canadese di racconti.
In particolare ha saputo narrare delle relazioni umane tramite esperienze quotidiane di un mondo bianco e anglofono. Infatti nei suoi racconti non compare l’esperienza multiculturale canadese, probabilmente anche per via del fatto che fin da bambina visse quasi segregata. Dopo la scuola doveva accudire la madre affetta dal morbo di Parkinson e proprio per sfuggire a questa situazione claustrofobica decide di iniziare a scrivere
“Mi sentivo in grado di affrontare qualsiasi cosa, scrivere da adolescente mi diede la più grande felicità.”
Il tempo libero continuerà a mancarle anche durante l’università, dato che per integrare la borsa di studio fa diversi lavori. Lavorando in biblioteca,appunto, incontra James Munro, futuro avvocato, con il quale si sposerà contro il volere dei genitori di lui.
La Munro sosterrà poi di essere stata “un’ingenua eroina vittoriana”. Questo perché si sposò così giovane e scappò a Vancouver pensando di poter così iniziare la sua vera vita e avere più tempo per scrivere.
Il marito è il suo primo estimatore e Alice continua a dedicarsi ai racconti perché avendo delle figlie “non aveva tempo per scrivere altro”. James non solo la incoraggiò, ma diede alla sua carriera uno stimolo concreto, quando trasferitisi a Victoria, aprirono una libreria, la “Munro’s Books”.
Sono anni in cui Alice Munro è restia a parlare del suo lavoro e mentre all’apparenza si comporta come una moglie e madre normale in realtà sacrifica per la scrittura sia la cura della casa che il rapporto con la famiglia.
Lei stessa si definisce “esperta nell’arte dell’inganno”, un po’ come la Christie seppe usare il depistaggio anche nella vita privata, anche la Munro usa la stessa tecnica tipica dei suoi racconti. Vi è sempre una dimensione di mistero, momenti in cui il racconto sembra aprirsi e per poi concludersi improvvisamente. Il lettore rimane così con elementi che non riesce a mettere a fuoco del tutto.
I suoi racconti iniziano ad uscire nelle riviste e ottiene anche il Governor General’s Award (massimo premio letterario canadese). Così a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta accrescendo la propria notorietà giunge anche all’indipendenza economica.
La vita privata ha un destino opposto. Nel 1972 infatti i coniugi Munro decidono di separarsi. Alice torna in Ontario e inizia ad insegnare scrittura creativa al college. Ritrova poi un compagno di università, Gerald Fremlin con il quale si sposerà nel 1976.
Sono gli anni più prolifici: pubblica molte raccolte di racconti, arrivando nel 1978 a vincere per la seconda volta il prestigioso premio letterario canadese.
I temi trattati in tutte queste opere non sono solo le persone e i rapporti umani, vi è infatti anche una forte identità regionale. In particolare nell’opera della Munro è importante la condizione climatica, così come la fluidità del paesaggio che permette gli spostamenti dei personaggi.
Tuttavia le persone rimangono l’elemento centrale dei suoi racconti, come ricordato dalla recensione del The Times riportata sul retrocopertina di “In fuga”:
“ Millions of words have been split in attempts to tell us exactly what it means to be human. In Runaway Munro performs that very miracle”. (retrocopertina di “Runaway” A. Munro ed. 2006)
“Milioni di parole sono state nel tentativo di raccontarci esattamente cosa significhi essere umani. In “In fuga” Munro riesce a compiere questo miracolo”.
In particolare la Munro si concentra sulle figure femminili. Dà alle figure maschili un ruolo marginale concentrandosi sulle problematiche femminili, pur non idealizzando la condizione della donna.
Un ottimo esempio di questa capacità della Munro è proprio “In Fuga”. La raccolta edita nel 2004 consta di 8 racconti. Sebbene tre di essi ruotino intorno a Juliet (da cui Pedro Almodovar ha tratto il film “Julieta”), possono essere letti separatamente.
In questi racconti i personaggi spesso vengono presentati proprio attraverso i dialoghi, quindi in linea con lo stile della scrittrice, essi si scoprono poco alla volta. Storie di sofferenza e frustrazione, in cui però l’autrice mantiene le distanze proprio per far emergere la condizione in cui vivono i personaggi.
Il mistero si ravvisa qui nei significati e nelle implicazioni di cui a volte si caricano gli eventi quotidiani.
“In Fuga” è il titolo anche del primo racconto. Si riferisce inanzitutto alla fuggitiva Carla, una moglie vessata che organizza la propria fuga aiutata da Sylvia.
Le uniche figure maschili non sono positive: si tratta infatti di due mariti irrispettosi nei confronti delle mogli. Mr. Jamieson, marito di Sylvia, è un vecchio poeta malato che aveva infastidito altre due donne. Clark, invece è il marito prepotente e crudele da cui cerca di fuggire Carla, la quale tuttavia si rende conto di aver paura della propria indipendenza e identità. Sarà infatti proprio lei stessa a scendere dal “cotch” che aveva preso per fuggire per tornare dal marito. Non riesce ad emanciparsi e a stare senza di lui.
La stessa Sylvia poi è reduce da una fuga, il racconto inizia proprio con il suo ritorno dalla Grecia. Sylvia rimarrà isolata, non avendo più rapporti con l’unica persona a cui era legata: Carla infatti obbligata da Clark, taglierà i rapporti con lei.
Vi è poi un’altra fuggitiva: Flora. Una capretta, fuggita all’inizio del racconto, a cui Carla si era affezionata. Riapparirà facendo però una brutta fine, esemplificando ulteriormente come la fuga fallisca sempre.
Sono storie narrate in terza persona per mantenerne la parzialità e lasciare il lettore a decifrare e analizzare. La lucida e attenta voce narrante alterna così il punto di vista delle due donne.
Oltre allo stile, nella raccolta ricorre con il movimento dei personaggi il senso della precarietà. Il non avere radici fisse contrapposto alla staticità delle donne.
Il paesaggio assume un ruolo centrale anche nella “trilogia di Juliet”, quando viene descritto il viaggio in treno da Toronto a Vancouver, dando un’immagine del Nord dei Grandi Laghi.
La trilogia inizia con Juliet promettente studiosa di letteratura classica, campo di studi a cui si rimanda già dal titolo del racconto “Fatalità”, destino, fato nella cultura greca classica. Però si capisce già che questi studi le serviranno a poco. La ragazza ha infatti una borsa di studio e potrà seguire una carriera accademica. Tuttavia i professori hanno delle riserve su di lei; essendo una ragazza si sposerà e non potrà dedicarsi alla ricerca, mentre se non lo facesse avrebbe i problemi di una donna sola. Per questo la spingono ad accettare il lavoro di insegnante in una scuola di Vancouver.
Successivamente però riuscirà ad affermarsi come giornalista televisiva. Tuttavia non farà altrettanto sentimentalmente, la sua vita privata è un disastro. Ha pagato un po’ come tutti sacrificando la vita privata, un po’ come la Munro stessa.
Vi è una precarietà ricorrente, i sentimenti amorosi si rivelano estremamente precari. La volontà amorosa non porta sempre buoni risultati. Juliet si avvicina infatti a un uomo sposato. Lo rincontrerà anni dopo vedovo, scoprendo che ha però un’altra, forse anche più di una. Comunque nasce una figlia, Penelope, a cui Juliet dedica parte della sua vita. Anche questo amore si rivela disastroso. Penelope scompare: a vent’anni se ne va, non si capisce però quale sia il motivo del suo non voler più comunicare con Juliet.
Juliet alla fine decide di non cercarla, deve rassegnarsi al silenzio di Penelope. Alla fine dell’ultimo dei racconti una vecchia amica dice a Juliet che ha rivisto Penelope. E’sposata con uomo ricco con il quale ha cinque figli. Si è allontanata dalla madre in cerca di spiritualità, qualcosa che a casa le era mancata a causa dell’indipendenza di Juliet.
E’ ben espresso l’elemento del passato, legato al fatto che i canadesi hanno solitamente origini esterne al Canada. Vi è sempre così un rapporto con il passato, al quale si guarda con nostalgia. Però non potendovi più arrivare, porta alla mitizzazione dei paesi di origine.
Per questa mancanza di momenti drammatici nella storia canadese è più facile tornare indietro nel tempo. Un meccanismo tipico della Munro è infatti legato alla memoria. I ricordi sono labili e a volte reinterpretati.
Appare evidente in “Scherzi del destino”, in cui la Munro torna indietro di 40 anni per reinterpretare un episodio di quando aveva ventisei anni. Un racconto crudele, di una vita interamente modificata da un errore commesso perché ingannata. La protagonista Robin ogni anno va a Stradford per assistere a un’opera durante il festival shakespeariano. Il racconto inizia proprio con Robin che si sta recando a vedere “Così è se vi pare”, quando si rende conto di aver smarrito il borsellino. Viene aiutata da un uomo a spasso con il cane. Daniel un montenegrino che la tratta molto bene, tanto che Robin inizia a sentire una simpatia nei suoi confronti. Si danno appuntamento per l’anno successivo, ma quando lei lo rintraccerà e cercherà di parlargli lui farà finta di non riconoscerla. Robin a quel punto sconvolta se ne andrà.
Situazioni di stravolgimenti ed equivoci simili alle commedie shakespeariane appunto, in particolare Munro pare porre la questione di cosa accadrebbe se una giovane inesperta fosse esposta al doppio de “La dodicesima notte” o ” La commedia degli errori”.
In uno dei racconti emerge chiaramente il genio della Munro nel raccontare i rapporti umani, si tratta di “Passione” che è anche un esempio peculiare della narrazione a ritroso della scrittrice canadese. All’inizio infatti la protagonista Grace ha 60 anni e torna dopo anni nella Ottawa Valley. Sta cercando la casa estiva dei Traverses: non viene detto perché, ma si sa solo che l’ha già visitata. I flashback della donna riguardano proprio i cambiamenti avvenuti negli anni. Il titolo si riferisce alle prime esperienze di Grace, quando fidanzata con uno dei Traverses, viene sedotta dal fratello di questi.
La raccolta si conclude con “Poteri” la cui particolarità sta nel frequente uso della prima persona. Il racconto sembra non solo essere la conclusione di “In fuga” ma anche un testamento letterario. Infatti termina con un’anziana che racconta una storia discontinua della quale neanche lei conosce tutti i dettagli. Pare essere non solo la metafora di una scrittrice in procinto di concludere la carriera, ma anche una constatazione del fatto che le storie un giorno non esisteranno più.
Per fortuna quelle della Munro esistono e ci permettono di indagare meglio l’animo umano e le sue contraddizioni.
Fonti: A. Munro “Runaway” ed. Vintage 2006
Appunti del corso di lettera inglese contemporanea prof. Paggetti 2013
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