Giù la maschera: tra identità nascoste e pseudonimi alla radio

Quando incontriamo per la prima volta qualcuno di cui non conosciamo l’identità, è pressoché scontato chiedere a questi il nome. A sua volta il nostro interlocutore si presenterà e ci domanderà quale sia il nostro. Associare un nome alla figura che si pone in relazione con noi ci consente di abbassare le nostre difese naturali e di intraprendere più serenamente un dialogo con l’altro.

Tuttavia, ciò che rimane estromesso dalle considerazioni dell’intelletto, o impedisce una riflessione mirata alla conquista di risposte, può determinare una singolare reazione di smarrimento, carica di potenza seduttiva. Non è un caso che la letteratura dell’ambiguo raccolga seguaci da più di due secoli, o che l’enigma relativo all’identità del writer inglese Banksy sia al centro di accesissimi dibattiti. Rimaniamo attratti dal mistero, che genera in noi una curiosità esasperata a cui non vorremmo mai porre un punto fermo, salvo interrompere di colpo le regole del gioco.

In campo artistico l’anonimato o l’adozione di uno pseudonimo può essere una scelta estetica, etica o professionale. Nonostante l’indubbia potenza vocale, probabilmente Alicia Augello Cook avrebbe incontrato qualche ostacolo in più se non fosse diventata Alicia Keys. Molti rapper scelgono un nome d’arte per la loro carriera musicale, sia per evidenziare una loro peculiarità stilistica nel freestyle, sia per distinguere l’io artistico da quello privato. Talvolta rimanere nascosti dietro ad una maschera o ad un nome fittizio rappresenterebbe solo un’abile operazione di marketing e contribuirebbe, almeno nell’apparenza, alla costruzione di un fenomeno da radio. Dai caschi dei Daft Punk alla frangia bicolore di Sia, meri accessori volti a occultare l’immagine dei loro proprietari sono diventati per questi veri e propri marchi di fabbrica.

Come per ogni manovra commerciale, l’inconveniente è sempre dietro l’angolo. Negli anni ‘90 apparve sulla scena musicale italiana un uomo dalla maschera argentata e dal timbro simile a quello di Claudio Baglioni, tale Anonimo Italiano. Nomen omen: dopo il successo del primo album e la rivelazione forzata dell’identità per l’invadenza della stampa, il progetto firmato BMG venne abbandonato presto dalle radio e dal pubblico, destato dalla rottura dell’incantesimo.

Tra le nuove leve della musica indipendente nostrana, nativi digitali che sanno cogliere le opportunità offerte dei canali spesso autoreferenziali di Internet, pare essere molto in voga proporre al pubblico la propria arte celandosi dietro occhiali da sole, nomi di fantasia e bautte. C’è chi avanza l’idea che questa dinamica sia un’autentica controproposta dal basso al culto della forma, chi ritiene si tratti di una tendenza esibizionista dal sapore radical chic. Di sicuro i tanti nuovi Anonimi Italiani, oggi sotto i riflettori mediatici (M¥SS KETA, Liberato, OEL, ma la lista si potrebbe allungare!), devono tenere a mente che l’illusione dello schermo può svanire senza alcun preavviso. Ed allora è meglio continuare ad avere qualcosa da dire.

 

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