La tanto attesa approvazione del progetto di ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi di Siena da parte della Commissione europea è finalmente arrivata. In particolare, l’Unione Europea ha dettato le condizioni, concedendo l’autorizzazione in cambio di un piano di ristrutturazione quinquennale (il cui comunicato stampa con i dettagli dell’operazione è reperibile qui) votato a riorientare l’attività della banca verso il finanziamento delle piccole e medie imprese e della clientela al dettaglio. Inoltre, MPS si è impegnata a cedere, totalmente e a condizioni di mercato, un importante portafoglio di 26 miliardi di Euro di NPL (Non-Performing Loans, cioè crediti la cui riscossione è incerta per diverse motivazioni, quali ad esempio il non rispetto di scadenze di pagamento, l’ingente ammontare del debito, lo stato di insolvenza del debitore ecc.), al fine di migliorare la gestione del rischio di credito dell’istituto.
Per la prima volta, quindi, MPS si dota di un piano serio e, almeno all’apparenza – perché, si sa, l’ardua sentenza è sempre dei posteri – efficace e razionale, votato al contenimento del rischio e alla ricerca della stabilità finanziaria. Ma la vera novità è senza dubbio l’approccio del Governo, che ha deciso di iniettare liquidità nelle casse della banca soltanto a fronte dell’acquisizione di un pacchetto largamente di maggioranza del Gruppo (si parla del 70% delle azioni): un’operazione del valore complessivo di più di 8 miliardi di Euro che, in caso di successo, sembrerebbe riuscire addirittura a non gravare sui contribuenti. In questo senso peraltro Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia e delle Finanze, si è detto fiducioso del fatto che il denaro pubblico non solo sarà recuperato, ma sarà stato addirittura fruttifero.
Ovviamente il piano ha dato adito alle più diverse critiche. Tralasciando i fisiologici attacchi sulla non necessità di salvare un istituto bancario, e non addentrandoci nelle critiche più di matrice politica sulla disparità di trattamento del Governo fra il caso delle banche venete e quello di MPS, suscita alcune perplessità la decisione di adottare un piano che implementi un’ipotesi di burden-sharing: all’operazione dovranno contribuire, prima dell’erogazione dei fondi pubblici, gli azionisti della banca e gli obbligazionisti senza privilegi, per mezzo della riduzione del valore nominale dei titoli o della conversione in quota capitale delle obbligazioni. Questo in deroga alla normativa in vigore dal 2016, che prevede la riduzione del valore nominale anche dei debiti più garantiti, come ad esempio le obbligazioni ordinarie e i depositi su conti correnti di più di 100.000 Euro (il cosiddetto bail-in). In ogni caso, dettagli a parte, sebbene anche questa ciambella non è detto che riesca col buco, rispetto alle precedenti inizia almeno ad assumere una forma tondeggiante.
Images: copertina