“LA TATUATA BELLA”

Nel 1994 a Pordenone nascono i Tre Allegri Ragazzi Morti, anche noti con l’acronimo TARM. Nel 2008 registrano per il film di Federico Rizzo, Fuga dal call center, un riadattamento di un motivo tradizionale lombardo, ossia La canzone del non lavoro, intitolandolo La tatuata bella. Pezzo senza dubbio emozionante per la mancanza di strumenti e la conseguente realizzazione polifonica, spesso è utilizzato dalla band come chiusura ai concerti. Quella qui proposta è una riflessione in merito al testo, che sembra un inno alla Natura come sola padrona della vita umana e alla liberazione dalla schiavitù sia del lavoro, opprimente soprattutto per il ruolo impari di padrone e proletariato, sia dal pensiero umano, spesso svincolato dalle vere problematiche della vita.

La canzone esordisce chiarendo già quale sarà il tema portante: le prime parole sono infatti “La tatuata bella al lavoro non ci va”. Le ragioni, tuttavia, sono chiarite nei passi successivi e sono molteplici. Tanto per cominciare, la protagonista di questa canzone “a consumar le dita per gli altri non ci sta”. Verrebbe da chiedersi chi siano questi “altri”, ma la risposta è lasciata alla libera interpretazione dell’ascoltatore, forse per permettere l’identificazione e ottenere maggior coinvolgimento, forse per allargare il più possibile il target di lavori e lavoratori a cui il gruppo si riferisce.

Nella seconda strofa viene invece specificato chi sia il principale colpevole dello sfruttamento dei lavoratori, ovvero un generico “padrone”. Il movente del suo atteggiamento di superiorità, che costringe a un prono servilismo i suoi dipendenti, è il “profitto”. Per il guadagno personale, il padrone è disponibile a usare tutte le sue armi, comprese l’ipocrisia (“Padrone mostra il muso, che lingua parlerai?”). A parlare ed esprimere la sua opinione è l’Io lirico della canzone, la “tatuata bella”, che non è più disposta a subire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e si rivolge qui direttamente al padrone.

Con la terza strofa il punto di vista si sposta verso un soggetto presumibilmente maschile, che se da un lato ammette la necessità del lavoro, senza il quale non è permesso nemmeno il sostentamento nella società odierna (“e se lavori duro un motivo ci sarà”), dall’altro ribadisce la volontà di assentarsi per un po’ dalle catene di ogni giorno. Non si tratta solo della catena fisica del lavoro salariato, che costringe a un rapporto impari tra padrone e lavoratore, ma anche della catena del pensiero, della quale si crede di non poter fare a meno (“chi è schiavo del lavoro/o solo del pensiero che senza non si può”). Anche questo personaggio si accompagnerà allo sciopero della tatuata, con la quale andrà “sul prato a far l’amor”, gesto contrapposto allo snaturamento provocato dalle sopracitate catene.

Il finale della canzone sembrerebbe esprimere la volontà di entrambi i soggetti, assunti a portavoce di tutta la classe lavoratrice, o quantomeno di coloro che si sentono oppressi dalla quotidianità. “Voglio girare il mondo, ché il mondo in testa ho”, imperativo di un atto che i soggetti pensano di poter compiere, è in realtà un sogno, una volontà non realizzabile, proprio perché non si può fuggire totalmente dalla schiavitù, come esplicitato nella strofa precedente. Infine, il cuore di tutta la canzone, il senso rimasto latente per tutta la durata del brano: “e non avrò paura, padrona mia è la luna ed altro io non ho”. Può darsi che i due innamorati, in fuga e felici nella loro lontananza dal mondo, ritrovino una complicità con gli enti naturali, la quale viene prima di ogni legame umano.

È proprio il riavvicinamento alla natura a permeare il testo, e con esso il rigetto di ogni schiavismo, di ogni catena, di ogni frustrazione con cui l’uomo pensa di poter imporre il suo dominio, o addirittura con cui l’uomo può colpire sé stesso, rimanendo ancorato a un pensiero riecheggiante e in apparenza ineliminabile.

Con quest’ultima frase si giunge al culmine di tutti quei riferimenti filosofici e politici che si possono rintracciare nel testo, come il comunismo marxista e l’anarchismo, ma nell’allusione alla luna ci si avvicina anche agli inni poetici che hanno attraversato la storia letteratura, primo su tutti il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia leopardiano. Così, mentre la luna può essere padrona dell’uomo, illuminarlo, perché collocata più in alto e lontana dalla mortalità e dalla corruzione, tipiche di una società destinata a estinguersi, l’uomo non può arrogarsi il diritto di sottomettere i suoi simili, poiché sono su uno stesso livello ontologico e di conseguenza lontani dalla verità assoluta ed eterna della natura.

Fonti: img – testicanzoni, wiki, mailticket

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