Di Ilaria Zibetti
Uno degli argomenti più cari al pubblico di tutto il mondo è sicuramente l’amore, primo motore di grandi drammi e protagonista di scene memorabili. L’Opera sembra essere nata per esaltare ed amplificare la passione che trascina i personaggi delle trame, grazie ad arie struggenti, duetti romantici o gestualità folli. Innumerevoli compositori e librettisti hanno collaborato per dare vita a storie impresse nella nostra memoria*. Se cito le coppie Mimì-Rodolfo, Aida-Radamés, Violetta-Alfredo, Lucia-Edgardo, Tamino-Pamina… di certo non vi suonano affatto sconosciute, fosse anche solo per fama. Apparentemente quindi ci si aspetterebbe dolcezza a badilate. Però sarebbe solo una visione parziale.
In quasi tutte le narrazioni liriche si presenta al centro una vicenda a carattere sentimentale, influenzata da eventi socio-politici, da inganni di terzi, dalla suprema e deliziosa Sventura o da colpi di scena insperati. Le più famose sono le relazioni dall’esito tragico, per la prematura dipartita di uno (o entrambi) gli amanti. Ancora più commovente se avviene causa malattia, emblema di una sorte nefasta alla quale non c’è rimedio. Le tisiche Violetta e Mimì sono le paladine delle eroine romantiche trapassate. Lo stesso vale nel caso in cui la giovane sia affetta da una pazzia che le prosciuga la linfa vitale, come Lucia di Lammermoor (di cui avevo parlato in un precedente articolo). Non viene disdegnato nemmeno il suicidio, sia per veleno come Leonora de “Il trovatore” oppure gettandosi da notevoli altezze, per esempio Tosca che si lancia dalle mura di Castel Sant’Angelo. Vi è anche il sacrificio, suprema catarsi musicale e drammaturgica, esaltazione dell’amore e dei personaggi che lo compiono; vengono in mente Maddalena ed Andrea in “Andrea Chénier”. Ci sono chiaramente molte possibilità di finale tragico, ma queste sono le principali, approfondiremo questo argomento in un prossimo articolo. Come è altresì ovvio – per fortuna – che vi sono altri scenari conclusivi assai più lieti e positivi. Le coppie si riuniscono, si ritrovano, riescono a coronare il proprio sogno e ci si augura per loro un avvenire sereno e fortificato dall’affetto reciproco.
La breve riflessione che vorrei proporre è questa: l’enorme topic dell’amore, all’interno del contesto operistico, non è solo bel momento cantabile, necessità di una “coppia purché sia” (parafrasando il titolo di un libro della scrittrice e psicoterapeuta Gianna Schelotto) al fine di portare avanti la trama. Spesso questo sentimento è in primo piano, colui che insieme al destino trascina gli uomini e le donne a una sorte nefasta o lieta, a seconda dei casi… ma anche della personale intelligenza del soggetto.
Banalizzare il concetto che nell’Opera tanto c’è solo amore, è limitativo e crea una visione distorta, lo stesso che dire: “Ah ma gridano e basta! Non sono storie verosimili!” ecc… Pregiudizi nocivi quasi a livello della tisi tanto cara ai compositori.
Non penso ci si debba fermare solo alla narrazione in sé, bensì guardare oltre alla realtà oggettiva della recita. Se ci si riflette, si vedono spesso due persone cantare assieme, all’unisono, a rappresentare un’armonia unica data dalle due distinte individualità; si vedono tentativi spasmodici e tenaci di mantenere una promessa di fedeltà, oggi ormai fenomeno abbastanza raro quasi come vedere una Fenice… non mi pare affatto poco. Chiaramente nell’Opera si tende ad estremizzare, per enfatizzare, per rendere scenicamente l’azione e dare vita a uno spettacolo memorabile, ma essendo Arte bisognerebbe saper trascendere la mera visione. Guardare con occhi diversi e comprendere che oggi, dove ogni cosa tende ad essere facile, veloce – troppo veloce – e superficiale, c’è bisogno di determinazione, di lealtà, di affetto sincero e spirito di sacrificio (possibilmente non estremo, mi raccomando) simili a quelli raccontati perché l’amore, se vero, è difficile. Difficile da trovare, coltivare, mantenere. Alcuni punti come quelli elencati sono le basi di un rapporto umano concreto, sono colonne salde in mezzo al mare delle contraddizioni che distinguono la nostra razza e la rende volubile ai capricci dei venti.
Infine, altro insegnamento paradossale dell’Opera riguarda la comunicazione. Attraverso il canto, si cerca di manifestare ciò che si ha dentro, magari con ingenua timidezza alla Nemorino de “L’elisir d’amore”, sicura e schietta alla Calaf in “Turandot”… Vero che in questo genere gli equivoci, gli inganni e i pettegolezzi sono sempre in agguato, però come principio c’è la verbalizzazione – in questo caso armonica – dei propri sentimenti, secondo le proprie capacità, senza voler negare. E se anche in principio si negano i sentimenti, quelli emergono attraverso la voce delle note musicali, che echeggiano e pretendono spazio come a voler dire che non si può tacere. Sarebbe una costrizione che soffoca e uccide l’anima, inaridendola. L’uomo è un essere pensante e comunicante e secondo il proprio modo particolare ha bisogno di esprimersi. Nella contemporaneità si pensa che grazie ai social networks ci sia una maggiore facilità nei rapporti interpersonali, in cui ogni informazione è inserita in una descrizione che rende immediata la conoscenza. Agevola senza dubbio, ma non può essere la base e la sola modalità. La gestualità, la voce, l’espressività, il contatto, così come in uno spettacolo d’Opera, sono essenziali per comprendere davvero chi ci sta affianco.
In conclusione: amore sì… ma non a mo’ di frasi dei cioccolatini!
*Scene spesso già narrate da drammaturghi o scrittori, in quanto la maggior parte delle Opere deriva da lavori letterari preesistenti.