Di trecento generazioni
Che se ne erano andate a ramengo sui marciapiedi
Rimasero, sparse, fotografie senza colore.
Nelle stazioni abbandonate dall’acqua
I pendolari non si muovevano
E giacevano ognuno nel proprio amato nido,
Abbracciando i figli e la madre
Anch’essi senza più respiro.
Durante l’afflusso di acque
Medicamentose,
Era diventato tutto un grosso specchio:
La città vanitosa si guardava con malizia le bellezze
Delle absidi tonde
Riflesse nell’alto fiume.
Membri virili di pietra urlavano dalla gola campanaria
Alle nubi il battesimo dei manoscritti vergati, ormai vedovi.
Le cortine sottili come nastri d’una donna
Si fissarono sui memento,
― mementote!
Chiudevano gli occhi i piccoli fanciulli e gli incunaboli
Ancora con la saliva impastata sul viso
Dal sonno e le loro labbra turgide e belle
Non avrebbero incontrato alcun capezzolo latteo:
Già troppo nutrimento era stato sparso nelle loro bocche
Dalla madre eterna che per figli ha tutti, anche quelli che non sono suoi.