Il problema della produzione di rifiuti plastici è piuttosto ingombrante, sopratutto quando questi non vengono accuratamente smaltiti bensì gettati in mare. Abbiamo già parlato di una persona, Javier Goyeneche, che ha deciso di intervenire e, collaborando con centinaia di pescherecci nel Mediterraneo, ha creato ECOALF, una marca di abbigliamento realizzata interamente con materiali riciclati, per lo più plastica raccolta dalle reti da pesca. I pescatori però non pescano a profondità troppo elevate e la domanda allora è: fino a che punto arrivano i rifiuti gettati in mare?
Un team di ricercatori delle Università di Bristol e di Oxford ha dato una prima parziale risposta. Il loro lavoro si è svolto nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Indiano sud-occidentale, con analisi effettuate ad una profondità che oscilla tra i 300 e i 1800 metri. Effettivamente qui sono state trovate delle microplastiche sedimentate, che, in base agli obiettivi della spedizione, dovevano essere raccolte e analizzate. Si tratta di particelle di grandezza inferiore ai 5 millimetri, come ad esempio alcune microsfere presenti nei cosmetici, tra cui dentifrici e bagnoschiuma. Dato che gli animali che vivono nelle profondità oceaniche interagiscono molto col fondale marino, i ricercatori hanno deciso di studiare anche loro, con risultati preoccupanti.
Tramite un sottomarino a comando remoto, che riduce il rischio di contaminazione durante il prelievo del campione, sono stati prelevati alcuni organismi marini quali granchi, aragoste e cetrioli di mare. Delle nove specie campionate, sei hanno presentato tracce di microplastiche nelle cavità respiratorie, orali e digerenti. Gli esemplari sono stati sezionati e, grazie alla collaborazione del Dipartimento di Scienze Forensi dell’Università dello Staffordshire, analizzati come metodi usati comunemente in ambito forense, in grado di identificare rapidamente le diverse fibre. Tra i diversi tipi di plastiche scoperte ci sono il poliestere, il polipropilene, la viscosa, il nylon e l’acrilico. Le microplastiche che dalla superficie scendono fino agli abissi oceanici hanno la stessa dimensione della cosiddetta “neve marina”, quella pioggia di materiale organico di cui i vari organismi che vivono sui fondali si nutrono.
La scoperta è allarmante ed è un segnale del livello a cui è arrivato l’inquinamento marino, tanto più che queste plastiche non sono state ritrovate nelle zone costiere, bensì in mare aperto, a chilometri di distanza dalle fonti di inquinamento. La gravità della situazione ha spinto il governo inglese a pianificare il divieto dell’uso di microsfere di plastica nei cosmetici e nei prodotti per la pulizia entro la fine del 2017. Per dare un’idea: secondo un rapporto del Comitato di Revisione Ambientale della Camera dei Comuni inglese, una singola doccia farebbe finire nello scarico di casa e poi nel mare 100,000 particelle di plastica. Si tratta di dati sconcertanti, specialmente in riferimento ad una cosa così semplice come una doccia, ma significativi: ci ricordano che ogni nostra azione, anche banale e apparentemente innocua, ha una ricaduta sull’ambiente che ci circonda, per cui è necessario prestare, nelle piccole scelte quotidiane, la massima attenzione per rispettare il nostro pianeta.
Fonti: CORDIS
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