Fotografare una città non è per nulla semplice. Serve saper conoscere e saper ascoltare la città.
Il rischio di cadere nel banale é appostato dietro l’angolo, ma ancora di più si rischia di non fotografare la città che si fotografa. Vengono realizzati scatti dove l’immagine potrebbe adattarsi a Bologna come a Firenze, a New York come a Londra.
Quando però di una città si identifica l’essenza e si coglie cosa effettivamente la rappresenta, in quel caso ci troviamo difronte al capolavoro. Un capolavoro non solamente fotografico, ma poetico, direi io. Un atto d’amore.
È questo il caso dell’opera di Gabriele Basilico.
Un fotografo che ha fatto delle città la propria musa, una modella da ritrarre in mille diverse posizioni. Un percorso che inizia nel 1978, da Milano, e termina solo con la morte, avvenuta nel 2013.
Uno sguardo instancabile, sensibile alle forme delle città, alle loro spine dorsali ed ai loro volti, che una laurea in architettura ha plasmato con perizia e cognizione.
Dalle fabbriche dismesse di Milano una continua approvazione che lo spingerà alla frequentazione di Roma, Mosca, San Francisco, Rio. Alla conoscenza ed alla ricerca di umanità in una Beirut straziata dalla guerra.
Ma anche i porti, i trampolini di lancio verso il mare; o ancora la sua Milano, con la documentazione della rinascita di Porta Nuova.
Una ricerca continua verso quelle “architetture mediocri” che necessitano di essere plasmate nuovamente per innalzarsi col mezzo fotografico.
La fotografia è in grado di mostrare il cambiamento di città, epoche e persone; segna il tempo, immortala l’istante e lo rende unico da rivivere e rivedere più e più volte.
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fonti: studio a cura dell’autore
foto: www.pinterest.com