Cesare conduce l’auto sicuro. La notte incede e cela la strada che ci riporta in città. Il silenzio rumoreggia, è il quinto passeggero. Isabella accanto a lui guarda fissa in avanti, come se aspettasse di vedere qualcosa che non sia Roma ed il Raccordo. Intorno a noi nulla, case sparute, altro silenzio. Poco fa Cesare aveva provato ad accendere la radio, errore. Una canzone che parlava di inverni ed attese disilluse. Isabella ha spento nervosa. Nessuno parla.
Il tempo non sembra neanche scorrere veramente. È tutto così uguale a sé stesso che potremmo essere qui da anni e non essercene accorti. Accanto a me Alice poggia la sua mano sulla mia, non mi guarda però. La sua mano è fredda. Vuole starmi accanto e sa quanto è complessa e strana la mia posizione. Ma sa di non poterlo fare completamente. Nei suoi occhi vedo il dolore per il dramma a cui assistiamo e la certezza, o almeno paura, di dover esser protagonista del prossimo.
Lo avevamo detto, io e Cesare, quasi due anni fa, in un pomeriggio piovoso a casa sua, che sarebbe successo. Cronaca di un dramma annunciato, l’avevamo definito. Allora non immaginavamo nulla di ciò che è successo, né di come sarebbe finito. Finisce così, per un messaggio di merda a metà di una cena in riva al mare. È stata una notte bellissima, ne voglio un’altra; finisce con queste parole, non degne di alcune labbra, così melense ed infantili. Isabella si è alzata dalla tavola, il fruscio della gonna l’ha accompagnata via, seguita da Cesare. Tu sapevi, mi ha chiesto Alice, silenzio assenso, anche lei si alza, combattuta, e di nuovo, io la seguo. I piatti di pasta rimangono mezzi finiti sul tavolo.
Guardo fuori dal finestrino, guardo Cesare nello specchietto retrovisore, guardo le due donne. Nessuno cerca il contatto con gli occhi altrui, solo io. Ogni tanto incontro quelli di Alice, vorrebbe poggiare la testa sulla mia spalla, come fa sempre, ma non lo fa, non pare il caso. L’errore di una notte che rovina non solo un amore, ma infiniti rapporti. Quel suo segreto che abbiamo custodito, così colpevoli entrambi, cambierà per sempre molte cose. Fra loro due finirà, se non è già finita. Non penso Isabella mi parlerà mai più. È la mia migliore amica da molti anni, ho fatto qualcosa di imperdonabile. Sono troppo confuso anche per piangere, vorrei farlo, ma di nuovo, non è il caso. Non sono io a poter piangere ora.
Ed io e Cesare? Siamo amici da sempre, non so immaginare una vita lontano da lui. Abbiamo sempre fatto in modo che le nostre vite fossero intimamente legate. Abbiamo sempre cacciato qualunque cosa ci potesse allontanare. Come porteremo sulle nostre spalle il peso di ciò che abbiamo fatto? Non solo amori a rischio o finiti, ma anche amicizie infrante. La nostra no, ma la colpa non si condivide mai, è qualcosa da portare soli.
Riesco ad incrociare lo sguardo con Alice, di nuovo. Quanta tristezza nei suoi occhi. Vi vedo riflessa quella dei miei. Le ho tenuto un segreto che ha ferito la sua amica, che lei sa essere ancor prima mia amica. E questo solo per proteggere Cesare. Oltre ad averle mentito ho creato una scala di valori, una gerarchia fra di noi. Non so se mi perdonerà mai qualcosa di simile. In fondo penso non le sia mai veramente piaciuto Cesare. Ma questo ora non conta. Forse Isabella penserà che Alice sapesse, o non avesse voluto sapere. Forse nemmeno loro saranno più amiche. Forse domani mattina, o quella dopo, saremo tutti soli.
È un attimo, non lo vedo neanche. Vedo solo Isabella scacciare il braccio di Cesare, urlare, scoppiare nel pianto, Cesare sporgersi verso di lei, dire qualcosa di confuso, parole che si affastellano una sull’altra. Lei lo spinge via, disgustata, e la luce invade l’abitacolo, immergendoci nella ferraglia che ci viene incontro. È un attimo.