Nel giugno 2016, in concomitanza non casuale con gli Europei di calcio, la casa editrice EDB ha pubblicato in un piccolo e agile volumetto un articolo del 1982 di Marc Augé, etnologo e antropologo francese, dal titolo eloquente: Football. Il calcio come fenomeno religioso.
La provocazione è solo apparente. L’analisi di Augé, infatti, prende avvio dalla constatazione che il calcio, inteso sia come pratica che come spettacolo, non si differenzia nella sua ritualità dalle celebrazioni religiose. Sulla scia di Durkheim, Augé è concorde nel considerare sullo stesso livello, per esempio, le feste cristiane ed ebraiche con qualsiasi evento della vita nazionale.
L’evento calcistico coinvolge milioni di persone diverse tra loro che pure si riconoscono nella ritualità della partita. Il pubblico non solo assiste ma è anche partecipe. I canti e il tifo sono parte integrante del fenomeno calcistico e corrispondono quasi ad una sorta di transfert di massa. I cori e le emozioni condivise instaurano un rapporto tra individuo e comunità come accade durante la messa.
Il calcio stesso sembra porsi a tutti gli effetti come una religione. Si parla non a caso di fede sportiva e a Napoli non è raro imbattersi in altarini dedicati a Maradona. Augé, in chiusura del suo saggio, riporta alcune pratiche voodoo in uso in Africa anche in ambiente calcistico: benedizioni delle porte, consultazioni di indovini e vari incantesimi di protezione. E quante volte assistiamo a complessi segni di croce e lunghe preghiere da parte di calciatori sudamericani?
Quella di Augé non è una storia del calcio anche se, molto saggiamente, ne ricorda le origini. Praticato come passatempo elitario dalle classi medie inglesi, il calcio ha trovato poi terreno fertile nelle classi operaie e popolari. Questa proliferazione ha determinato il cruciale passaggio dal dilettantismo al professionismo, con tutto il dibattito che ne è conseguito. Senza dubbio il calcio delle origini, nella sua affiliazione popolare, ha contribuito all’affermazione di una coscienza di classe.
A questo punto Augé pone un interrogativo. Il calcio è dunque un nuovo oppio dei popoli o uno stimolante? Entrambi. Infatti ogni fenomeno religioso può opprimere le coscienze o liberarle. L’invito di Augé è quello di considerare il calcio , se non proprio come una nuova religione, almeno come un fenomeno sociale totalizzante. Non si esime, infatti, dal criticare l’indifferenza della maggior parte degli studiosi nei confronti dei fenomeni di massa legati al calcio e allo sport in generale.
Questa duplicità del calcio è avvertita anche oggi. Come ogni forma di spettacolo esso rappresenta uno svago e una distrazione. Ma non va sottovalutata la forte carica identitaria di questo sport. E’ doveroso citare il derby di Glasgow tra Celtic e Rangers che contrappone la comunità cattolica (Celtic) a quella protestante (Rangers). L’intero globo calcistico è attraversato da rivalità (ma anche affinità) tra squadre diverse. Il calcio diventa quindi espressione di identità politiche, territoriali e religiose. Una squadra può rappresentare un quartiere o una classe sociale: per esempio, la tradizione riconosce nel Milan la squadra degli operai milanesi (casciavit), mentre nell’Inter quella dei “bauscia“.
Per non parlare delle nazionali. Qualche anno fa, nel 2012, l’Europa viveva un momento di forte crisi economica. In quell’estate si giocarono gli Europei e il caso volle che Grecia e Germania si dovettero affrontare ai quarti. I due paesi vivevano un periodo di forte tensione politico-economica e la partita assunse un significato particolare. Vinse la Germania che trovò in semifinale l’Italia. La storica rivalità tra le due nazioni fu accentuata anche in questo caso da motivazioni politiche. In quel periodo infatti erano frequenti i rapporti tra la Merkel e Mario Monti. E un altro Mario, ovvero Balotelli, decretò con una doppietta la vittoria dell’Italia. Era l’Italia dei due Mario che, ognuno a modo loro, cercarono di risollevare le sorti italiane.
Il breve saggio di Augé, seppur datato, dimostra tutta la sua attualità. A EDB va riconosciuto il merito di questa pubblicazione che può contribuire alla comprensione sociale e antropologica di uno sport che in Italia è spesso legato alla polemica e più in generale al costume. Ci dimostra che il calcio non è soltanto di uno sport o un gioco. Il recente addio al calcio di Totti si è manifestato in una imponente celebrazione laica e nazionale che ha toccato le corte più intime di milioni di italiani. C’è chi salutava l’idolo della propria infanzia, chi il capitano della propria squadra, chi il simbolo di un calcio che sembra non esistere più. Il caso di Totti dimostra che c’è qualcosa nel calcio che, vuoi per psicosi collettiva, vuoi per passione irrazionale, trascende stadi, campi e classifiche.
Fonti: Football. Il calcio come fenomeno religioso, di Marc Augé, EDB, 2006.