Blue Whale: come nasce, cresce e si trasforma una notizia

Mercoledì 17 Maggio su Wired Italia compare un editoriale allarmato: sui social network sarebbe nato tra i giovani un nuovo terribile fenomeno, il gioco Blue Whale, che al culmine di una serie di prove prevedrebbe anche il suicidio. Internet può essere considerato la causa di una sorta di Olocausto 2.0 tra i giovanissimi? si chiede l’autore, Alberto Grandi: la sua risposta è che in realtà questi sono soltanto utilizzi distorti della Rete, partoriti da menti criminali e disturbate. In questo caso tutto sarebbe stato architettato da uno studente di Psicologia, tale Philipp Budeikin, inventore di questo giochino da Joker psicopatico di quarta categoria. Il giorno dopo però l’articolo viene aggiornato con un cappello introduttivo che afferma: Le ultime news mettono in discussione, senza screditarla in via definitiva, l’esistenza di un gioco come Blue Whale e che ad esso siano collegati diversi suicidi. Passa un’altra giornata e sempre su Wired viene pubblicato un nuovo editoriale, a firma di Simone Cosimi, in cui la vicenda Blue Whale viene definita fin dalle prime righe inverificabile e probabilmente senza fondamento.

Cosa sarà mai successo in un lasso di tempo tanto breve per motivare una così evidente retromarcia da parte di quella che dovrebbe essere una delle più autorevoli riviste italiane dedicate al mondo della tecnologia e dell’innovazione? Per cercare di trovare una risposta bisogna passare al setaccio l’articolo di Simone Cosimi. Già le prime righe presentano una dichiarazione interessante:

“Ieri ho trascorso la giornata a tentare di documentarmi sul fenomeno Blu Whale, il fantomatico gioco della morte online che avrebbe guidato decine di bambini e adolescenti russi (e poi in vari altri posti del mondo, Italia inclusa) in un percorso di autolesionismo lungo 50 giorni da concludere con un raggelante e fatale salto nel vuoto. Una storia in circolazione da un bel po’ di tempo. Lo spiegano in maniera eccellente diversi servizi pubblicati per esempio su Butac e The Submarine (che a loro volta si appoggiano agli approfondimenti del salvifico Snopes, di Radio Free Europe e di Lenta.ru).”

Vengono qui citati una serie di analisi dedicate al fenomeno della Blue Whale, e due cose saltano subito all’occhio consultando le fonti indicate: le date di pubblicazione e la comune negazione dell’esistenza del gioco Blue Whale. È importante prestare attenzione alle date di pubblicazione delle inchieste citate: il reportage di The Submarine è stato pubblicato il 15 Maggio, mentre le riflessioni di Butac risalgono addirittura al 9 Marzo.

Dunque si tratta di testi che ridimensionano il fenomeno in realtà già disponibili all’epoca del primo (allarmato) articolo di Wired: perché quindi vengono recuperati solo ora? Se allarghiamo un attimo lo sguardo, vediamo come a partire proprio dal 17 Maggio sui siti delle principali testate giornalistiche si assiste alla pubblicazione di un numero sempre maggiori di articoli in cui Blue Whale viene demistificata facendo riferimento proprio a quelle fonti che Wired cita nel suo secondo articolo. Il 17 Maggio infatti Il Post pubblica un reportage approfondito sul tema in cui fa il punto su Cosa sappiamo del “Blue Whale”, senza allarmismi inutili: si ricostruisce la storia mediatica del fenomeno Blue Whale, facendo notare come esso, secondo le approfondite analisi di Radio Free Europe e Snopes, abbia trovato la propria origine essenzialmente in un’inchiesta del giornale russo Novaya Gazeta, che in un reportage del Maggio 2016 collegò 130 suicidi avvenuti in Russia, accomunati, secondo la testata russa, dalla frequentazione di non ben identificati gruppi VKonktate (il Facebook russo). Le fonti indicate da IlPost, che, come si sarà notato, sono anche quelle riprese dall’articolo di rettifica di Wired, erano però già comparse il giorno prima su Blitzquotidiano, che a sua volta dichiarava di rifarsi a un video di approfondimento pubblicato da Huffpost.it. In entrambi questi siti si faceva sempre riferimento alle indagini di Radio Free Europe riprese da Snopes e alle perplessità del Safe Internet Center. C’è un altro elemento interessante e curioso che accomuna questi due approfondimenti: tutti e due si rifanno esplicitamente a un articolo di Wired UK, pubblicato il 13 Maggio, anch’esso scettico sulla reale esistenza di una vera e propria rete criminale strutturata nei termini descritti da Novaya Gazeta. Il breve articolo di Wired riprendeva anche le riflessioni del blog NetFamilyNews.org, che, rifacendosi sempre allo studio di Radio Free Europe (per il tramite di Snopes), rilanciava e calcava ancora di più l’idea secondo cui dietro l’idea di tutor criminali che scandaglierebbero i social alla ricerca di giovanissimi da spingere al suicidio coinvolgendoli in macabri giochi ci sarebbe la volontà del presidente russo Putin di criminalizzare i social network per poter procedere indisturbato a una stretta sui social. Questa interpretazione, rilanciata da Wired UK e quindi, come si è visto, anche da Huffington Post e Blitzquotidiano, diventa poi comune sui siti che il 17 Maggio, verosimilmente sull’onda di quanto pubblicato su Huffpost.it, riprendono a loro volta Wired UK. Leggo infatti, nel demistificare la bolla mediatica sulla Balena Blu, si mostra possibilista all’idea di un fenomeno montato per finalità politiche, mentre Il Giornale fin dal titolo e dal sottotitolo ridicolizza una tale ipotesi:

Blue whale è una fake news”: l’accusa per incolpare Putin. Sulla Blue whale se ne dicono di cotte e di crude. C’è chi sostiene sia una bufala, chi crede l’abbia inventata qualche collaboratore di Vladimir Putin.

C’è un altro elemento tuttavia da mettere in evidenza nell’articolo de Il Giornale: nonostante l’articolo sia dedicato a mettere in discussione, e anche a ridicolizzare, l’allarmismo intorno all’emergenza Blue Whale, subito sotto l’immagine di copertina troviamo una raccolta di precedenti articoli pubblicati sullo stesso sito pochi giorni prima, tutti evidentemente di segno opposto: La Blue whale è arrivata anche in Italia, Tutte le 50 regole della Blue whale. Il meccanismo con cui compaiono è forse automatico, ma in questo c’è un’involontaria ironia che dice molto. Sono passati pochi giorni e la testata ha cambiato idea in maniera clamorosa. La svolta è ancora più evidente se si tiene conto che non è solo da poco tempo che Il Giornale parla di Blue Whale, in realtà è già da Marzo che se ne occupa: il 3 Marzo era stato pubblicato un articolo in cui si annunciava in maniera allarmata che Un nuovo “gioco” dell’orrore spopola tra i giovani: il Blue Whale. Il Blue Whale ha già causato la morte di 130 adolescenti.

La notizia dell’arrivo anche in Europa di un nuovo spaventoso gioco nato sui social network russi infatti aveva fatto la sua prima comparsa sui media italiani tra fine Febbraio e inizi di Marzo, sulla spinta dei giornali scandalistici inglesi The Sun e Mirror, che sul finire di Febbraio avevano iniziato a ipotizzare che anche in Gran Bretagna si fosse diffuso qualcosa di simile a quanto raccontato da Novaya Gazeta. I media britannici probabilmente erano venuti a conoscenza della notizia, quasi un anno dopo l’inchiesta di Novaya Gazeta, quando agli inizi di Febbraio alcuni media russofoni come Eurasianet avevano dato anche nella loro versione internazionale questa notizia di suicidi sospetti in Russia. Proprio in risposta a questi articoli allarmistici Radio Free Europe il 21 Febbraio aveva pubblicato un’inchiesta approfondita sul fenomeno, dimostrando l’arbitrarietà della ricostruzione di Novaya Gazeta e individuando la natura del fenomeno piuttosto in un uso problematico delle chat e dei gruppi social da parte di persone con tendenze suicide. Nell’ambito dei mezzi di comunicazione slavi da cui era partita la psicosi invece il 22 Febbraio usciva sul sito Balkan Insight l’intervista a un esperto del Safe Internet Center in cui veniva messa in dubbio l’effettiva possibilità che in Russia fosse esistita sui social una rete organizzata di istigatori al suicidio. Nel mentre però sui media anglosassoni la psicosi dilagava sempre di più, così un’altra inchiesta su un sito Web indipendente cercava di fare chiarezza riprendendo esplicitamente e integrando con nuove considerazioni il lavoro di Radio Free Europe e di Balkan Insight: il 27 Febbraio infatti il portale di fact checking Snopes pubblicava una dettagliata inchiesta in cui ad avvalorare ulteriormente l’inconsistenza dell’idea di un gioco eterodiretto e strutturato c’era anche il fatto che il supposto responsabile, Phillip Budeikin, che i media inglesi avevano iniziato ad additare come il responsabile ultimo individuato dalla polizia russa, non era ben chiaro se fosse effettivamente stato arrestato, se si fosse dichiarato colpevole o se invece avesse negato tutto rivendicando di aver voluto piuttosto architettare una ben riuscita operazione di marketing per ottenere guadagni con gruppi social creepypaste e per questo spesso destinati a un notevole successo tra i giovanissimi. Queste fonti lentamente erano anche riuscite a uscire dal mondo dei blog settoriali come, Snopes o NetFamilyNews, per trovare posto anche nei grandi mass media inglesi: infatti, quando il 26 Aprile la BBC lanciava a sua volta l’allarme per il possibile sbarco in Gran Bretagna del gioco Blue Whale, a conclusione dell’articolo l’allarme veniva relativizzato citando le smentite di Balkan Insight. Ma il clamore mediatico nel frattempo era aumentato sempre di più nel Regno Unito: poliziotti e sindaci lanciavano allarmi, nelle scuole e nelle famiglie l’isteria dilagava, come è evidente nell’articolo che solo due settimane dopo la stessa BBC dedica al fenomeno: non c’è più traccia di dubbi, le segnalazioni della polizia e degli insegnanti non possono più lasciare spazio alla a domande sulla reale esistenza di un gioco strutturato. Se ci sono casi di bambine e bambini che si tagliano o vengono scoperti aspirare al suicidio nel nome della Blue Whale, come si può dire che non esista?

Questo allarmismo inglese, come si è visto, è molto probabilmente la molla che porta anche i giornalisti italiani a scrivere del fenomeno. Ai primi articoli de La Repubblica, Il Giornale, Il Messaggero e Quotidiano.Net ancora una volta anche in Italia è la Rete a rispondere con un’indagine approfondita: il 9 Marzo il portale anti-bufale Butac rielabora il materiale fornito da Snopes e lo rende disponibile per il pubblico italiano proprio per rispondere a quei primi articoli apparsi sui giornali italiani. Come mai allora ancora il 17 Maggio, cioè più di due mesi dopo, Wired Italia pubblica sul tema un editoriale allarmato? Oltretutto in Inghilterra, come si è detto, proprio pochi giorni prima era già stata realizzata un’inchiesta di segno opposto che riprendeva tutto il filone di indagine critica aperto da Radio Free Europe e rilanciato poi da Snopes e NetFamilyNews. Il vero e proprio discrimine in Italia è rappresentato dalla messa in onda il 14 Maggio di un servizio delle Iene in cui si raccolgono le tragiche testimonianze di due donne russe che raccontano come le loro figlie siano state costrette da ignoti a uccidersi e, a riprova di queste affermazioni, vengono mostrati una serie di agghiaccianti video in cui giovanissimi si suicidano sotto l’occhio attento di carnefici che riprendono tutto con il cellulare. Il servizio fa riferimento agli articoli che tra Marzo e Aprile la stampa italiana e inglese aveva già dedicato al fenomeno (in un alcuni frame si vedono i titoli di alcuni di questi articoli), rimanda poi soprattutto al dibattito in corso sui media scandalistici russi, riporta inoltre la toccante testimonianza di due famiglie russe le cui figlie si sarebbero suicidate per colpa della Blue Whale, e soprattutto avanza il sospetto che il gioco sia arrivato anche in Italia. Oltre a un montaggio indubbiamente d’effetto, è l’aver adombrato l’arrivo in Italia probabilmente a fare la differenza: si scatena il panico, la notizia spopola, il servizio diventa virale sui social, come ha ben ricostruito l’agenzia di stampa AGI. I giornali nazionali tornano ad occuparsi del fenomeno: sull’onda del servizio delle Iene Il Giornale e Il Mattino annunciano preoccupati (e praticamente con lo stesso titolo) che Blue whale, il “gioco” dell’orrore è arrivato anche in Italia e Blue Whale, il gioco della morte. L’orrore arriva anche in Italia. Il Fatto Quotidiano, conformemente alla propria vocazione giudiziaria, rilancia nel sistema mediatico italiano, annunciandole come se fossero una notizia delle ultime ore, le supposte affermazioni di quella che viene indicata come la mente criminale alla base del gioco, Philipp Budeikin. Ma questa prima ondata di articoli pubblicati tra il 15 e il 16 Maggio sull’onda del servizio delle Iene e del panico dei social network porta i giornalisti, tendenzialmente scettici su ciò che non proviene dal loro mondo ma da programmi televisivi di intrattenimento o peggio ancora dai social network, a iniziare un’indagine critica sulla notizia. In quest’opera di demistificazione però la loro unica autorità, come denunciano tutti i testi critici pubblicati tra il 16 e il 18 Maggio, è Internet: tutti gli articoli di quei giorni che smontano la Blue Whale si devono essenzialmente alla scoperta dell’indagine di Butac, per il cui tramite i giornalisti arrivano alle fonti originarie di Snopes e quindi a Radio Free Europe. In questo senso è interessante anche quanto sostiene il blog Famiglia Puntozero, il cui autore il 18 Maggio afferma di essersi documentato sulla Blue Whale rifacendosi a Butac, Snopes e NetFamilyNews, e quindi, sulla base di quanto appreso, sostiene di aver aggiornato in senso dubitativo la voce Blue Whale su Wikipedia: secondo l’autore questa modifica sarebbe stata centrale per il reportage critico che IlPost avrebbe pubblicato il giorno dopo. Quest’ultima affermazione ovviamente è indimostrabile, ma è significativa di quanto tutte queste inchieste critiche sul fenomeno derivino da fonti Web. Ma le fonti Web, come abbiamo detto, non sono spesso ritenute sufficienti né affidabili nel mondo giornalistico, per questo probabilmente molti giornalisti italiani finiscono per rifarsi ad esse per il tramite di Wired UK. Il punto di arrivo di questo filone dubbioso si può considerare l’articolo che il 17 Maggio Corriere.it dedica alla Blue Whale: rappresenta una sorta di summa e compendio di tutte le fonti che abbiamo via via citato, alcune riprese esplicitamente, altre alluse in modo chiaro anche se non linkate. Anche sul versante Internet però questa campagna critica portata avanti dai grandi mass media italiani porta i blog, a loro volta forti dell’accreditamento giornalistico, a concludere che la Blue Whale sia la Storia di una psicosi o Una pompatura mediatica.

Intorno al 17-18 Maggio quindi sembra che il destino del fenomeno Blue Whale ormai sia quello di essere catalogato come una fake news. Questi reportage però, derivando tutti da inchieste che vertevano sulla critica di quanto Novaya Gazeta aveva dichiarato fosse avvenuto in Russia, tralasciavano un aspetto importante, cioè non prendevano in considerazione i casi italiani che sull’onda di questo allarmismo iniziavano a venir segnalati. Come già avvenuto nel Regno Unito, proprio quest’ultimo aspetto alla fine ha fatto sì che non si archiviasse tanto facilmente la notizia. È emblematico in questo senso quello che si nota nei commenti a un articolo di Paolo Attivissimo: alla sua raccolta di fonti critiche ormai canoniche molti lettori credono di poter rispondere con “la realtà dei fatti”, cioè con le tante segnalazioni provenienti da tutta Italia. Il 21 Maggio infatti Le Iene rilanciano con un servizio in cui, a loro difesa, schierano addirittura la Polizia: un dirigente della Polizia di Stato, Elisabetta Mancini, loda il primo servizio delle Iene perché avrebbe permesso di sensibilizzare i genitori e gli educatori su un fenomeno sempre più sotto le lenti della Polizia. La questione viene quindi drammaticamente riaperta sul finire di Maggio: giornali nazionali, testate locali, emittenti di provincia, trasmissioni come Chi l’ha visto? e Matrix, TG regionali e TG nazionali ritornano sulla vicenda riportando supposti casi di vittime italiane del gioco Blue Whale e si moltiplicano così le interviste ad esperti che mettono in guardia dal fenomeno. È interessante notare che a questo punto gli articoli di quegli stessi giornali che prima avevano dipinto la Blue Whale come una fake news adesso tornano a parlarne quasi dimenticando le proprie precedenti indagini demistificatorie: a corredo degli articoli sui supposti casi italiani ricompaiono quasi come una realtà di fatto le 50 regole, i casi russi, le dichiarazioni di Budeikin e perfino bistrattata inchiesta di Novaya Gazeta viene riabilitata.

Blue Whale allora alla fine è una notizia vera? La risposta in realtà non può che articolarsi in una serie di distinguo. Innanzitutto bisogna prestare la massima attenzione ala ricostruzione, per così dire, filologica che abbiamo fin qui delineato: quest’ultimo aspetto, insieme all’incredibile omissione della prima ondata critica, è mancato, per esempio, nell’inchiesta di Valigia Blu su come i media hanno parlato del fenomeno Blue Whale. Invece l’analisi filologica è centrale per esprimersi con attenzione sull’attendibilità del nucleo originario, cioè sull’idea che in Russia una serie di suicidi sarebbero stati causati da un macabro gioco social. In questo caso abbiamo a favore essenzialmente solo la ricostruzione effettuata da Novaya Gazeta: per quanto poi i reportage si siano moltiplicati in tutto il mondo, qualsiasi altra fonte in realtà deriva in ultima analisi solo da quella ricostruzione. Tuttavia anche contro quanto sostenuto da Novaya Gazeta si possono individuare essenzialmente solamente due grandi fonti, Balkan Insight e soprattutto Radio Free Europe: quindi pure nel versante opposto, per quante ricostruzioni critiche della Blue Whale siano state in seguito sviluppate, tutte alla fin fine riportano a Radio Free Europe. Inoltre bisogna aggiungere che le sempre maggiori riprese di Radio Free Europe in chiave anti-bufala ne hanno progressivamente fatto perdere un aspetto importante. L’articolo originale, se con dovizia di argomentazioni smontava l’idea che ci fosse una rete organizzata di criminali dedita a scandagliare i social network alla ricerca di giovani e ignare vittime da far cadere nella propria rete di morte, dall’altra metteva pure in luce la pericolosità di alcuni gruppi social uniti dal culto del suicidio, veri e propri punti di ritrovo e di stimolo per persone già di loro ossessionate dall’idea di suicidarsi. Questo punto è stato recuperato in Italia dall’unica vera e propria indagine sul campo, cioè il ricco reportage di The Submarine, che a sua volta non si è limitato solo a mettere in luce le incongruenze delle 50 regole e degli aspetti più conosciuti della Blue Whale, ma ha tracciato un articolato panorama di tutti queste camere della morte che si possono trovare negli oscuri meandri del Deep Web. In questo senso, come hanno già notato sociologi della comunicazione, esperti di giochi, blogger ed editorialisti, non è poi più di tanto rilevante chiedersi se ci siano stati effettivamente casi di Blue Whale in Italia. La Balena Blu è ormai diventata un nuovo simbolo identitario, un’icona che grazie alla narrazione mediatica ha finito per affascinare le menti di quei tanti giovani che oggi trovano nel suicidio qualcosa di fascinoso: questa è la vera emergenza, è questo che dovrebbe angosciare.

Foto: credits

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