Le opere d’arte, specialmente in passato, avevano la funzione principale di veicolare significati e messaggi che la popolazione analfabeta non poteva diversamente cogliere. Per questo motivo la Chiesa è stata tra le maggiori promotrici della produzione artistica, facendone un vero e proprio business, con l’obiettivo di veicolare la propria dottrina attraverso l’arte sacra. Di fatto, se nell’Occidente europeo, dopo il tramonto dell’età classica, l’arte non scomparve, lo si deve soprattutto alla Chiesa. Pur avendo un monopolio quasi totale sulla produzione artistica, essa ha avuto sempre un atteggiamento tollerante verso la creatività degli artisti.
Con il Rinascimento, momento di massima espressione dell’arte sacra dopo la frattura medievale, i canoni classici sono stati ripresi, reintroducendo la bellezza del corpo umano e con sé il nudo. L’arte dunque si è laicizzata ed imbevuta dei segni di una cultura pagana come quella classica.
Con l’avvento della riforma protestante, però, la chiesa si è spaccata in due, tra protestanti e cattolici.
Il Concilio di Trento, convocato nel 1545 per tentare una ricomposizione tra cattolici e protestanti, è stato luogo di elaborazione di una nuova ideologia della Chiesa cattolica, ed ha avuto un ruolo potenzialmente distruttivo per la spontaneità delle produzioni artistiche. Quel clima di eleganza e bellezza, che si era respirato per tutto il periodo del Rinascimento, era tramontato, per lasciare al suo posto un nuovo clima di rigore morale.
Tramite questa controriforma la Chiesa romana introdusse il controllo delle opere da parte delle autorità religiose locali. Le opere dovevano essere vagliate con attenzione e in esse vi doveva essere chiarezza, verità, aderenza alle sacre scritture. La piena leggibilità, il decoro, dovevano essere caratteristiche imprescindibili; le deformazioni del Manierismo tipiche di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, erano condannate senza appello.
Alcuni esempi?
Michelangelo Buonarroti fu protagonista e testimone eccezionale di questa fase storica che più che fuggire dallo scandalo risulta ai nostri occhi scandalosa. Nel 1564, venne decisa la censura dei nudi “scandalosi” del “Giudizio Universale” nella Cappella Sistina. Molti soggetti nudi furono dunque accuratamente coperti con pesanti drappeggi di colore, oggetti e foglioline che coprono prepotentemente la visuale.
Una delle censure più conosciute è quella che è stata fatta agli affreschi di Santa Caterina e San Biagio per opera di Daniele da Volterra, soprannominato non a caso ”il Braghettone”.
Anche le sculture non furono esenti da questo deturpamento: a Roma, nella chiesa di Sant’Isidoro I restauri eseguiti nel 2002 hanno “scoperto” un caso di censura sulle immagini di due “Virtù, la Carità e la Pace”. Bernini le aveva ideate in marmo, con i seni morbidi e gonfi. Questo fino al 1860, quando i sacerdoti della chiesa devono aver considerato troppo provocanti quelle fanciulle prosperose.
Allora è scattata la censura: i seni morbidi sono stati coperti da camicie in bronzo, avvitate al marmo e dipinte in modo da sembrare originali.
Gli esperti che nel 2002 hanno restaurato la Cappella De Sylva, nella chiesa romana di Sant’Isidoro, hanno scoperto che le camice in bronzo furono ideate dallo stesso Bernini (forse obbligato con la forza).
Finalmente, alla fine del ‘900 la Chiesa, ripristinando e ripulendo le opere da foglie, braghe e drappi, aggiunte dopo il Concilio di Trento, aprì un nuovo avvenire al dialogo tra arte e fede, ritrovando quel coraggio perduto che la aveva caratterizzata fino al Rinascimento.
Credits:
http://www.scudit.net/mddivietiartemichel.htm ; http://www.scudit.net/mddivietiartebern.htm(2)