Stavolta parliamo di stemmi. E di Dante. Quindi potete anche chiudere l’articolo, e se decidete di non farlo partite con aspettative bassissime: per la parziale competenza di scrive ma soprattutto per la potenziale noia di chi legge.
La Vita Nova. Tre nomi: Michele Barbi, Guglielmo Gorni e Stefano Carrai. E Dante Alghieri, per chi non lo sapesse. Per adesso teneteli a mente, ci torneremo tra un attimo.
Quattro manoscritti: il Chigiano, il Toledano, lo Strozziano e il Martelli. Quattro manoscritti cioè quattro codici -i più autorevoli- che tramandano il testo della Vita Nova.
Novembre 1907, una mattina pigra e nuvolosa. Michele Barbi entra nel suo studio e traccia uno stemma. Un archetipo (O), due subarchetipi da cui derivano due rami con i quattro manoscritti. E fin qui tutto bene. Uno stemma tranquillo, davvero, quasi rassicurante: pulito, ordinato, chiaro e limpido.
I problemi sorgono, però, quando Barbi si accorge che un manoscritto (il Chigiano K) presenta quattordici lectiones singulares, ossia in netta minoranza stemmatica e attribuibili alla mano di un unico copista, rispetto agli altri tre manoscritti. Barbi mantiene la calma, non si fa prendere dal panico e sostiene che i tre manoscritti privi di queste lezioni le abbiano semplicemente omesse: esse sono quindi da accogliere.
Ma la questione non si esaurisce qui, dal momento che GUgliemo Gorni, animato da un evidente astio nei confronti del Chigiano -davvero, se non si trattasse di un manoscritto penseremmo a dissidi personali-, liquida queste lezioni come interpolazioni di K, ossia aggiunte -indebite, distruttive e deleterie, aggiungiamo noi-, e quindi le scarta in blocco.
Ora, lungi da noi riportare qui tutto l’animato dibattito riguardo queste quattordici varianti, il binomio stemmi-Dante è già abbastanza. Però ci soffermeremo su un punto. Ossia, la non-casualità di queste lezioni. Cioè: se fossero state inserite in punti non specifici le ricondurremmo a un capriccio di un copista disamorato e incompetente. Ma il dato interessante è che queste varianti ritornano sempre nella parte intermedia tra prosa e poesia (Vita Nova, prosimetrum, non lo abbiamo premesso perché abbiamo dato per scontato che qualora l’opera fosse stata per voi sconosciuta avreste semplicemente chiuso l’articolo. Cosa che, probabilmente, avete fatto comunque). Quindi: prosa, spiegazione dell’occasione per cui è composto il componimento poetico (sonetto, canzone o ballata), variante, componimento poetico. Per spiegare il motivo di questa apparente anomalia dobbiamo ricorrere alla forma di queste varianti: si tratta per lo più di omissioni dell’incipit, ossia della formula che introduceva il componimento, che spesso era limitrofa all’annuncio del componimento stesso, causando uno spiacevole effetto di ridondanza. Cioè: occasione per cui è composto il componimento+ incipit+ annuncio+ componimento. Troppo, no? Bene, via l’incipit per un testo più pulito.
Ora: si tratta della volontà dell’autore? Forse. Si tratta di una revisione da parte dell’autore? Probabile. Si tratta di una revisione da parte di un copista? Ma certo che sì.
Non abbiamo certezze, ma è evidente che queste varianti seguano una ratio ben precisa, tra l’altro perfettamente in linea con l’impianto della Vita Nova. Noi, personalmente, le abbiamo prese in simpatia. Sarà perché Gorni le ha mortificate definendole “ridondanti e popolareggianti”, sarà perché sono piccole, dimenticate e poco importanti, o forse perché ormai ci sono semplicemente entrate in testa. E quindi nello stemma del nostro cuore le abbiamo accettate. Ma questo importa davvero molto poco. Ciò che importa, invece, è che la critica -Barbi, Carrai, ma molti altri- le ha accettate in quanto “fanno leggere la Vita Nova in una veste linguistica che, pur non combaciando totalmente con l’originale, è comunque fra quelle attualmente recuperabili la più vicina all’oall’originale stesso” (Carrai, Quale Lingua). Insomma, queste dolcissime lectiones singulares si trovano, alla fine, nel testo della Vita Nova che leggiamo oggi.
E niente. No, non è particolarmente interessante. E neanche semplicissimo. Questo articolo nasce unicamente dal bisogno di concretizzare settimane -molte- di studio, di metterle nero su bianco. E di avere una piccola soddisfazione. Ci dispiace che voi siate diventati le vittime di un autore stanco e presuntuoso, ma ormai è andata così. Se ci perderete un po’ di tempo sarà comunque bello, per voi, per noi ma soprattutto per un’opera -lei sì- indubbiamente meravigliosa.
4 commenti su “La Vita Nova e le lectiones singulares”
E’ un bene che esisti.
Grazie, mi è servito tantissimo!
Davvero utile e interessante, affrontato in maniera lineare un argomento che non è affatto semplice. Fantastico per una studentessa che in preda all’esame di Filologia Dantesca, necessitava di qualche spiegazione in più su le lectiones singulares. Grazie! Aggiungo… anche molto simpatico.
Ciao! Articolo bellissimo e molto chiaro e scorrevole 🙂 avresti della bibliografia da consigliarmi in merito? Ti ringrazio!