Munch e Kierkegaard, il confronto dell’angoscia

Verso la fine dell’800 in Norvegia assistiamo alla sviluppo di una corrente impregnata sul senso di negatività, tragedia  e tormento, sia in ambito artistico che filosofico-letterario, ad esempio con le opere di Soren Kierkegaard. Siamo di fronte a figure di artisti la cui vita è stata segnata dal dolore e dalla sofferenza, che diventa pertanto il tema centrale su cui fondano il proprio operato, senza alcun dubbio rintracciabile nella figura di Edvard Munch.

Egli nacque a Loten nel 1863, ma si trasferì presto ad Oslo, una città che in realtà era estranea ai grandi circuiti artistici che in quegli anni ruotavano intorno a Parigi e le grandi capitali del centro Europa, lasciandolo quindi isolato rispetto al panorama artistico e culturale che si stava diffondendo, ma che ben presto prenderà ispirazione proprio dalle sue opere.

Munch è sicuramente considerato l’antecedente dell’espressionismo, affronta infatti già temi molto cari a questa nuova corrente, quali la crisi dei valori etici e religiosi, il senso di solitudine umana basata anche su una paura del futuro e dell’incombenza della morte, fino alla disumanizzazione della società borghese e militare di fronte all’orrore della guerra. Nel 1892 espone per la prima volta a Berlino alcune sue opere, ma la mostra fu duramente stroncata dalla critica per lo scandalo causato dal suo nuovo modo di dipingere.  Proprio questa mostra segna però la nascita dell’espressionismo tedesco; un gruppo di pittori dell’Accademia di Berlino lo difendono strenuamente, rendendolo la propria bandiera per la nascita di un nuovo movimento culturale, ovvero la Secessione tedesca.

Siamo negli stessi anni in cui si diffondono le scoperte di Freud relative all’inconscio e alla psicoanalisi, che diventano ovviamente temi fondanti della poetica dell’angoscia del pittore norvegese. Nei suoi quadri infatti rintracciamo sempre un elemento di inquietudine che rimanda alla sfera dell’incubo, il tormento dell’artista affonda quindi le sue radici in una dimensione psichica profonda e sicuramente molto più dolorosa e crudele rispetto alla visione che aveva Van Gogh della propria esistenza, raffigurata nella Notte Stellata. È una dimensione di pura disperazione, che non trova conforto in nessuna azione salvifica, nemmeno il suicidio a cui era invece arrivato Jacopo Ortis nel famoso romanzo foscoliano. Una delle opere che ci rendono il senso del dolore che ha caratterizzato la sua vita è sicuramente  La Fanciulla malata, forse una propria trasposizione biografica su tela che racconta la morte precoce della madre e della sorella. L’abilità di Munch sta nel volerci portare in questa stanza piccola, quasi soffocante, in cui si respira l’odore della malattia attraverso l’utilizzo del colore, che riesce a trasmetterci l’idea di sofferenza e in cui rintracciamo la matrice espressionista.

Sicuramente l’opera più famosa di Munch è L’urlo (1893), in cui viene raffigurato questo urlo interiore dell’artista, un urlo imploso che si può solo raffigurare attraverso la tela. Lo stesso artista ci racconta di un pomeriggio con due amici ad Oslo, improvvisamente il suo sguardo si fissa sulla luce del tramonto che lo avvolge e lo trasporta nella dimensione dell’angoscia, lasciandolo isolata rispetto ai suoi  compagni, che infatti non vivono questa sua stessa esperienza, non si fermano  per assistere allo spettacolo.

Camminavo lungo la strada con due amici-quando il sole tramontò. I cieli diventarono improvvisamente rosso sangue e percepii un brivido di tristezza. Un dolore lancinante al petto. Mi fermai – mi appoggiai al parapetto, in preda a una stanchezza mortale. Lingue di fiamma come sangue coprivano il fiordo nero blu e la città. I miei amici continuarono a camminare – e io fui lasciato tremante di paura. E sentii un immenso urlo infinito attraversare la natura.”

Le sensazioni che colgono il pittore in quel momento trasfigurano il paesaggio circostante, che diventa innaturale, poco accogliente; il cielo si colora di un rosso drammatico, quasi a riproporre una visione infernale, tanto che il soggetto in primo piano (il pittore stesso) è raffigurato come uno spirito, un teschio, un corpo morto accolto negli Inferi. La bocca dell’uomo si apre anch’essa in modo innaturale e diventa il centro compositivo di tutta l’opera, le onde sonore che ne escono mettono in movimento tutto il dipinto, muovono il corpo dell’uomo e il mondo che lo circonda. Questo urlo però rimane solo un grido sordo che nessuno riesce a percepire, rappresenta il nostro mondo interiore che vorremmo liberare, senza mai riuscirci; rappresenta anche però quella solitudine interiore che caratterizza l’animo umano, che non è in grado di trovare conforto, ma soltanto disperazione.

Questo senso di solitudine viene affrontato anche nell’opera Pubertà, che raffigura un nudo senza compiacimento sensuale, ma piuttosto allegoria di una condizione indifesa che caratterizza la vita di questa fanciulla. La costruzione equilibrata del dipinto viene rotta da questa ombra che si scaglia sullo sfondo, una sagoma informe, quasi un fantasma, che probabilmente rappresenta l’unica compagnia che questa ragazza può trovare, ovvero sé stessa.

Come abbiamo prima accennato il tema dell’angoscia è caro anche al filosofo Soren Kierkegaard, la cui opera fondamentale viene pubblicata nel 1843 con il titolo di Aut Aut, O-Oppure (Enten Ellen in lingua danese). Per Kierkegaard l’angoscia nasce dalla libertà, dalla nostra possibilità di attuare una scelta, una doppia scelta che si snoda tra un aut e un altro aut. L’uomo quindi si apre alla possibilità ma sperimenta la libertà nel confronto del possibile di fronte al futuro. L’angoscia è pertanto lo stato psicologico che precede il peccato, noi possiamo provare angoscia di fronte al male come di fronte al bene: l’angoscia di fronte al male mi porta al bene, alla redenzione del mio peccato attraverso la fede, se invece io ho paura del bene tendo verso la sfera del demonio, l’individuo rimane quindi nel male e nel peccato.

Una delle altre opere più conosciute di Kierkegaard è sicuramente “Timore e tremore”, impregnato del forte senso di fede che ha sempre caratterizzato la sua vita fin dall’adolescenza, in cui rintracciamo una netta differenza con il pittore norvegese la cui produzione artistica si fondava invece su una non credenza nella salvezza divina, un evidente ateismo. Kierkegaard di fronte a Dio, che sente e percepisce, trema, mentre Munch, che non può né vederlo né sentirlo, urla.

Per questi artisti non vi è pertanto alcun modo di uscire da questo tunnel di angoscia, se non quello dell’arte che ancora una volta diventa l’unico mezzo di salvezza per un modo che ormai ha perso tutti i suoi valori.

Credits:

fonti: studio da parte dell’autrice

foto: www.pinterest.com

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