Pochi profani del settore umanistico conoscono il nome di una dei cronisti e novellieri (rispettando la sua scelta autoriale per quanto riguarda il genere) più importanti ed innovativi dell’allora appena nato Regno d’Italia. Matilde Serao, inventrice della forma dell’inchiesta, e una delle prime donne a fondare un giornale, riuscì a farsi rispettare non solo in ambito cronachistico ma anche in quello della narrazione realistica e fantastica. Se per il romanzo-inchiesta si può ricordare l’opera “Un’anima semplice – Suor Giovanna della Croce” per il mito e la favola, il modello del fantastico, prima di Serao e poi napoletano, è quasi sicuramente “Leggende napoletane”.
La raccolta venne pubblicata in due edizioni: la prima è quella del 1881, la seconda è quella del 1891, provvista di quindici leggende e un’introduzione che curiosamente ci spinge ad abbandonare il genere del fantastico per il realistico di utilità sociale. “Leggende napoletane” spazia sia nel fantastico che nello strano e meraviglioso e si confronta meta-letterariamente con i modelli nordici sicuramente più legati al genere del romanzo gotico. Tra ninfe ed isole magiche, miti sul legame che unisce Napoli all’amore e credenze di un popolo che vive in una città all’epoca ancora feudale, i racconti ci presentano un quadro generale di ciò che doveva essere tra fine Ottocento ed inizio Novecento la “mitologia campana”, notevolmente filtrata dall’occhio di una moderna che ne vedeva definitivamente il tramonto, lasciandogli la sola funzione di favole nostalgiche dei bei tempi dell’antica Parthenope. Unica nota positiva nel finale è il sentimento amoroso spassionato insito in ogni abitante della città del golfo, di certo non visto come un’illusione fisica, spesso connessa alla malattia e all’ingenuità dell’individuo, come l’avrebbe invece raccontato Iginio Ugo Tarchetti. Serao nell’introduzione della seconda edizione ribadisce l’evoluzione necessaria della scrittura in un mondo nuovo e tremendo: la narrazione deve dimenticare il suo fare fantasioso, rendersi dolorosa e vera, anche recuperando topoi e temi tipici del gotico e del macabro, e farsi studio sociale come già avevano indicato i maestri francesi qualche decennio prima.
La caducità che Matilde Serao descrive alla fine delle sue leggende è rappresentata dal Vesuvio che, come nella vita fa la morte, da un momento all’altro potrebbe distruggere la città di Napoli. La nota positiva di una morte così violenta è che avverrà nel fuoco, l’elemento vicino al quale gli abitanti della città campana hanno sempre vissuto, tra amori, passioni e cibi divini (creati a quanto pare dal Mago Cicho).
Fonti:
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