Da quando in Europa hanno preso forma gli stati nazionali, Francia e Regno Unito si sono rivelate due potenze “contrapposte” sotto molti punti di vista.
Innanzitutto geograficamente, poiché lo stato transalpino si estende nel cuore dell’Europa continentale, mentre la Gran Bretagna che insiste su un’isola distante pochi chilometri dalle coste europee, ha da sempre preso le distanze dalle sue questioni.
Al di là del loro collocamento sul mappamondo, la storia moderna ci mostra come questi due paesi che hanno scritto la storia dell’Occidente, abbiano intrapreso strade apparentemente simili, ma profondamente diverse.
Analizzando il loro percorso verso la conquista della democrazia, la differenza è netta. È stata la rivoluzione del 1789 a portare libertè, egalitè e fraternitè in quel di Parigi, mentre dall’altra parte della manica il parlamento era già presente da un secolo, istituito grazie alla Gloriosa Rivoluzione che pose limiti all’autorità regia.
In politica estera il discorso è analogo. Durante il periodo coloniale l’Inghilterra ha sempre delegato l’amministrazione dei territori ai potenti del posto i quali, ovviamente, dovevano essere fedeli alla regina. Nel dopoguerra Londra decise di avviare il processo di decolonizzazione, per evitare in seguito di fare i conti con i molti problemi legati a quelle terre piene di contraddizioni.
La Francia al contrario impose da subito la sua lingua in Africa occidentale, favorendo lo spostamento dei francesi nelle colonie come ad esempio l’Algeria. Questo per esportare la propria cultura che, secondo questa visione, avrebbe dovuto essere assimilata dalle popolazioni assoggettate, le quali ne avrebbero tratto beneficio. Durante la decolonizzazione il governo parigino represse le rivolte nella maggior parte dei paesi africani, in modo da non concedere loro l’indipendenza. Questo ebbe gravi ripercussioni, tra le altre la nascita del concetto di terrorismo.
Arrivando ai giorni nostri, l’annosa questione islamica sull’integrazione ha indotto i due stati a partorire due modelli diversi. La Francia, patria dell’Illuminismo, ha scelto la via del laicismo di stato attraverso un modello assimilazionista. In questo modello il ruolo della scuola è fondamentale. Si deve subordinare la visione religiosa in nome dei valori dell’uguaglianza, della democrazia e di una “francesità” che bisogna acquisire a tutti i costi. Questa impostazione atea vale anche all’interno dei posti di lavoro, dove abiti e simboli religiosi non sono ben accetti.
Oltre Manica il modello non si basa sull’annichilimento della religiosità, ma sul rispetto delle diversità e sulla delega di responsabilità alle comunità religiose. Anche se molto spesso si eccede, dal momento che sono tollerate le corti islamiche che giudicano su reati minori.
È sempre un errore generalizzare, ma la storia ci racconta da una parte un percorso, quello francese, tortuoso fatto di cadute, brusche frenate ed accelerazioni improvvise, dall’altra un sentiero anch’esso accidentato e non privo curve, ma sicuramente più lineare.
La forza degli inglesi, che li ha resi il più grande impero del mondo moderno, è quella di riuscire ad intuire il cambiamento e anticipare per arrivare prima degli altri popoli. I francesi, latini e probabilmente più legati alla loro grandeur, nonostante abbiano dato un grande contributo all’evoluzione della civiltà occidentale, sono spesso stati miopi.
In questo momento in Europa, dal punto di vista politico, è in atto un cambiamento. Da una parte la brexit ha messo in grande discussione la Comunità Europea, dall’altra l’elezione di Macron (europeista convinto) sembra aver dato una boccata d’ossigeno al concetto di sovranazionalità.
Ma è normale che sorga un dubbio. La brexit è semplicemente frutto della storica diffidenza inglese nei confronti delle questioni europee, oppure la Gran Bretagna è scesa in tempo da una nave che sta affondando, capitanata da una Francia poco lungimirante?
Fonti:
www.lintellettualedissidente.it
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