I racconti dell’ Entrata in guerra rappresentano un unicum all’interno del corpus calviniano per diverse ragioni. Pubblicato nel 1954 tra l’incertezza dello stesso autore, L’entrata in guerra è il titolo di Calvino che meno si discosta dalla produzione letteraria contemporanea, “un’ incursione” nel territorio estraneo della letteratura memorialistica e dell’autobiografismo che dominavano la scena culturale dell’ Italia del dopoguerra.
Com’è noto, Calvino poneva grande attenzione all’originalità del proprio lavoro e questo “cedimento all’autobiografismo” rappresenta il chiaro segnale di crisi e di impasse seguente il folgorante esordio letterario con Il sentiero dei nidi di ragno, dove l’argomento resistenziale viene rappresentato dall’inedito punto di vista ingenuo e critico di un bambino. Nonostante all’inizio della sua carriera fosse inserito in un clima culturale ancora legato alla tematica resistenziale e antifascista, Calvino cercò sempre di trovare una propria originalità letteraria,un proprio stile, per scongiurare il pericolo di cadere in un certo provincialismo e di conseguenza nell’anonimato.
Ora, alla luce di queste preoccupazioni, il carattere autobiografico-memorialistico di un racconto come Avanguardisti a Mentone si presenta come un cedimento, appunto, come uno dei tanti tentativi del primo Calvino di trovare la propria dimensione letteraria, anche considerandone l’indole per nulla incline ad una autobiografica esaltazione di sé. Probabilmente nella pubblicazione dell’ Entrata in guerra giocò un ruolo determinante quell’ossessione per il romanzo realista che accompagnò Calvino per tutti gli anni Cinquanta, quasi come se i tre racconti dovessero in origine costituire il nucleo di una narrazione più ampia.
Nonostante un buon successo di critica, Calvino rimase sempre molto freddo e scettico nei confronti dell’ Entrata in guerra proprio a causa di quella vena lirica e autobiografica. Tra i tre racconti, Avanguardisti a Mentone risulta quello più gradito allo stesso Calvino perché “più avventuroso” e meno intriso di “moralismo e lirica”.
L’autobiografismo del racconto pone in primo piano la giovane età del protagonista, elemento questo che rimanda ovviamente al Sentiero dei nidi di ragno, ma anche ad una concezione narrativa vicina alla favola, e non a caso Calvino ne ricorda il tratto “avventuroso”. Innanzitutto è presente uno spostamento del giovane protagonista da uno spazio familiare, Sanremo, verso un luogo ignoto e misterioso, una Mentone deserta e in rovina. L’allontanamento dal contesto familiare è un elemento tipico della narrativa favolistica e nel racconto viene più volte ricordata l’importanza iniziatica ed eroica della prima notte fuori casa, sebbene Calvino la ricordi principalmente per le volgarità cameratesche dei compagni. L’intera vicenda assume sostanzialmente i tratti del rito di iniziazione accentuato dalla spavalda e ridicola retorica fascista, dall’eroica e ingenua illusione di essere veri soldati proprio come i falangisti.
L’entrata in guerra corrisponde dunque all’ entrata nel mondo e nella vita, al passaggio dall’adolescenza all’età adulta da parte del protagonista che vive quindi la spartiacque da uno stato all’altro. In questo senso la giovane età del protagonista non costituisce tanto il ritratto di una condizione d’innocenza infantile, quanto una riflessione su una maturazione interna e infatti l’attenzione si focalizza sugli elementi di adulta consapevolezza che iniziano a germogliare nel protagonista. Il racconto, come avverrà poi nelle Fiabe italiane e per certi versi nelle Cosmicomiche, si attiva così proprio in virtù di questo mutamento. L’autobiografismo calviniano si sposa quindi perfettamente con il suo crescente interesse per il modulo narrativo della fiaba (Le fiabe italiane escono nel 1956) coniugato con un intento “morale-civile” di impegno politico.
La critica antifascista gioca infatti un ruolo predominante all’interno del racconto: il protagonista si presenta come un adolescente che vive per la prima volta un’esperienza di guerra in bilico tra curiosità e distacco, partecipazione e senso di estraneità, desiderio di protagonismo e rifiuto. Si pone fin da subito in antitesi con i suoi compagni avanguardisti non sopportandone gli atteggiamenti volgari di ostentazione cameratesca, anche se questa dimensione di estraneità suscita nel giovane Calvino uno sconforto che solo in un secondo tempo riuscirà a vivere con un certo orgoglio. All’intraprendenza “militare” dei suoi compagni contrappone un carattere triste e malinconico assumendo quasi i tratti del flaneur mentre gira per le vie deserte di Mentone. Se per gli altri avanguardisti il rito di iniziazione consiste nel saccheggio e di conseguenza nell’entrata in un clima di guerra, seppur unicamente retorico e ingenuo, per Calvino si attuerà in un goliardico gesto di rivolta.
Questa distinzione mette quindi in luce con sarcasmo tutti quegli aspetti tipici della mentalità fascista e gli atteggiamenti baldanzosi dei militanti provinciali. Calvino si sofferma più volte sulla disorganizzazione di quella che sembra a tutti gli effetti una gita scolastica, i ritardi, le notizie false, l’alternanza tra la disciplina militare e un volgare lassismo. La vicenda si inserisce in un clima di guerra, o almeno così credono i giovani avanguardisti. In realtà quello che compare è piuttosto lo spettro di una guerra lontana e assolutamente antieroica. Il fascismo inizia a registrare i primi fallimenti militari, ma questo non impedisce ai ragazzi di calarsi nei panni di guerrieri vincitori e di conseguenza di sentirsi legittimati al saccheggio.
Ma nell’incontro finale coi falangisti la baldanza dei giovani avanguardisti subirà un netto ridimensionamento e potranno vantarsi solamente dell’immeritato bottino mentre, nel silenzio e nell’oscurità di un paesaggio freddo, spettrale e minaccioso, quasi a preludio del vero conflitto , torneranno a casa chiudendo circolarmente il racconto. All’euforia della partenza, all’estasi guerriera del saccheggio seguirà, però, la consapevolezza dell’ entrata in guerra.
Fonti:
F.SERRA, Calvino, Salerno Editore, Roma 2006, pp. 81-92.
M.BARENGHI, Italo Calvino, le linee e i margini, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 81-108.