Dante morì nel 1321, non prima di essersi assicurato che almeno i versi dell‘Inferno e del Purgatorio godessero di una fama notevole.
Molti i problemi della Commedia, a partire dal nome (Commedia? Comedìa? E perché questo titolo, soprattutto?) fino ad arrivare al contenuto, alle fonti, ai richiami. Qui, una piccolissima parentesi sul titolo, tralasciando le questioni di ordine critico e filologico. Questo perché siamo pavidi. E pigri.
Una piccola parentesi sul titolo solo perché è una minuscola ma luminosa finestra sull’indole di Dante, sul suo modo di pensare, ecco. Innanzitutto: Commedia o Comedìa? Probabilmente la seconda, per motivi metrici. Ma questo non importa. Più che la forma, guardiamo un attimo il contenuto. Commedia come contraltare della tragedia e non solo stilisticamente -allo stile arriveremo tra un attimo: il bello è soprattuto lì-, ma anche contenutisticamente. Il viaggio di Dante inizia con uno smarrimento e attraverso un percorso giunge a un lieto fine, ossia alla visio dei. È quindi l’opposto della tragedia, che inizia con uno stato di apparente quiete e poi precipita nel baratro. Dunque, il primo motivo è proprio una dicotomia, un’opposizione binaria commedia-tragedia. Il secondo, invece, è davvero divertente. Premettiamo che Dante fosse intenzionato a ricevere la corona d’alloro con la sua opera -cosa che non otterrà mai-, ad avere gloria eterna -cosa questa che, invece, pare gli sia riuscita parecchio bene-, a porsi come poeta, ossia come auctor e allo stesso tempo come personaggio in movimento –agens-. Il che, naturalmente, indica un certo rigore: a Dante non era concesso di sbagliare, di incorrere in contraddizioni o in ingenuità. E per questo, ha deciso di compiere un movimento fisicamente semplice ma mentalmente molto sofisticato: ha fatto un passo indietro e ha messo le mani avanti. Letteralmente.
Un passo indietro cioè il titolo, la Commedia: la commedia dello stile basso, umile, non alto ed elevato come quello della tragedia. Uno stile a cui tutto è concesso, perché ha poche pretese.
Le mani avanti cioè lo stile.
Proviamo a spiegarci meglio. Abbiamo detto che Dante non poteva sbagliare, ma l’argomento era troppo vasto per adottare un solo stile e l’opera troppo lunga per avere la certezza di non incorrere in qualche piccolissima -ma imperdonabile- ingenuità. Quindi, la Commedia: uno stile umile -ecco a voi le mani avanti-, uno spazio sicuro e inattaccabile. E geniale. Ma soprattutto, uno stile estremamente variabile. Perché dal basso è concesso salire, ma dall’alto bisogna rimanere su, pena l’oblio. Cioè: Dante sapeva di dover trattare argomenti crudi, violenti, di dover descrivere scene cruente, dopotutto la sua opera non si svolge tutta in Paradiso: prima c’è l’Inferno. E l’Inferno, con i suoi abitanti, è giusto che abbia un suo personalissimo vocabolario, libero di andare giù ogni volta che vuole. Per cui, Dante parte dal basso: non pretende di scrivere utilizzando uno stile elevato, si propone di farlo in maniera umile e poi ci sorprende con dei picchi di sofisticatezza davvero incredibili. Una strategia quasi imprenditoriale, Dante dimostra di essere un grandissimo lettore della testa e delle idee delle persone.
Consapevole del fatto che se avesse scritto una tragedia avrebbe dovuto mentenere per tutta l’opera uno stile adeguato e soprattuto consapevole dell’impossibilità di questo progetto, banalmente per gli argomenti trattati, Dante capovolge tutto, e chiama la sua opera Commedia. Ossia, fa un passo indietro e mette le mani avanti.
Parlare della maestosità del risultato sarebbe retorico e anche piuttosto ipocrita. Leggere per credere.
Ma tutta la dietrologia di un’opera non fa altro che renderla più grande. E la dietrologia della Commedia è veramente immensa. Qui una minima parte, la più piccola e insignificante, forse l’unica che può essere trattata in un breve articolo. Ma comunque, una piccola e insignificante parte che ci fa sempre riflettere. E, un po’, anche sorridere.