La dimestichezza con la lingua scritta e la competenza linguistica stanno negli ultimi anni venendo sempre meno.
Nei testi scritti così come nelle conversazioni orali ci si imbatte spesso in errori, dall’uso scorretto di maschile e femminile, alla confusione di verbi intransitivi e transitivi, ad un’errata coniugazione dei verbi, fino agli errori grammaticali. Complice la fretta, la distrazione o l’ignoranza, la gente sembra non prestare più la giusta attenzione a ciò che scrive. Può quindi capitare di incontrare errori come “qual’é” o “un pò”.
Una delle cause è però anche la minore abitudine a scrivere a mano. Perché se è vero che si legge sempre meno è anche vero che la scrittura su carta è sempre meno praticata. I giovani vengono dotati fin da piccoli di smartphone e notebook, riducendo così ancor più le occasioni di una scrittura a penna, mentre il lavoro porta la maggior parte delle persone ad un utilizzo quasi esclusivo della scrittura digitale. La stessa comunicazione interpersonale attraverso smartphone o e-mail ha ridotto l’atto dello scrivere ad un puro battere sui tasti, impedendo così un reale assorbimento delle regole grammaticali, più facilmente assimilabili quando applicate a mano piuttosto che digitate.
A complicare la situazione poi, è stato lo sviluppo sempre più accurato dei software di previsione del testo, tra cui il noto T9.
L’ideazione di uno strumento antenato dei moderni software può essere riscontrata nella Cina comunista di metà 900, quando le macchine da scrivere consistevano in una sorta di vassoio con quadratini di metallo corrispondenti ai caratteri, che, quando premuti, imprimevano sulla carta il carattere selezionato. La scelta era tra circa 2500 caratteri, 25 caratteri al minuto al massimo: una vera disperazione per i dattilografici. Fu così che si iniziò a personalizzare i vassoi costruendoli in base alle proprie necessità, in cui caratteri potevano ad esempio essere posizionati per aree tematiche o in base alla frequenza d’uso, così da facilitarne la ricerca. Chi lavorava in ambito politico poteva quindi avere, nell’allora epoca propagandistica, la parola “impero” vicino alla parola “America”, mentre chi lavorava in campagna poteva avere “grano” vicino a “raccolto”.
In Occidente la previsione del testo si sviluppò solo a metà degli anni 90, allo scopo di aiutare le persone disabili nella digitazione. Così nacque uno dei software più diffusi, il T9. Il compito di questi programmi consiste nel suggerire le parole in base alla sequenza di tasti premuta e di adattarsi alle preferenze del singolo utente. Si basano dunque su una previsione statistica, adattandosi poi alle preferenze individuali.
Ma è la Cina ad avere sviluppato i programmi più avanzati. Questi infatti permettono a chi scrive di digitare sulla tastiera qwerty la pronuncia della parola e scegliere poi il carattere corrispondente tra quelli proposti. Permettono di comporre anche intere frasi e inserire gli emoticon suggeriti dal programma stesso. Ci sono però delle conseguenze negative nella diffusione di queste tecnologie, tra cui la cosiddetta amnesia dei caratteri. In un Paese la cui scrittura comprende migliaia di caratteri, l’utilizzo di uno strumento che li anticipa e suggerisce ne impedisce l’apprendimento, tanto che nel 2010 l’83% della popolazione ha ammesso di avere delle difficoltà con i caratteri indicando tra le cause il completamento automatico.
Qualcosa di simile sta avvenendo in Occidente. Quando basta digitare poche lettere perché un software anticipi la formulazione della parola completa o quando ogni errore viene corretto automaticamente da un programma di correzione, inevitabilmente l’attenzione cala e con questa anche la competenza linguistica. Si può non badare a ciò che si scrive perché qualcun altro lo farà al posto nostro. Va però tenuto conto che dopo un certo numero di volte in cui una parola viene digitata, questa viene registrata all’interno della memoria del programma, che la considererà da quel momento in poi come valida. Che sia corretta o meno.
Ma non è solo questo. Una scrittura influenzata da una scelta statistica elimina l‘imprevedibilitá, elimina ciò che di personale, caratteristico e unico il singolo individuo può inserire nel testo. Porta ad una omologazione, eliminando la diversità. La speranza è che alla lunga le persone si stanchino di vedere le proprie frasi suggerite ancor prima di averle formulate e recuperino il piacere di esser loro a pensare a quale sia la forma migliore da dare ai propri pensieri.
Fonti: Internazionale n. 1187 – anno 24
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