Due anni e mezzo fa è emerso un grande dibattito riguardo al gender. Si è parlato di “teoria gender”, di “ideologia gender” e Regione Lombardia ha creato pure un “telefono anti-gender” per denunciare la propaganda a favore del gender specialmente nelle scuole. Ma che cos’è il gender? Il termine gender significa semplicemente genere ed è legato a temi quali la sessualità e la costruzione dell’identità di genere: secondo l’enciclopedia Treccani è una “categoria di analisi e interpretazione della conformazione esclusivamente sociale dei ruoli maschili e femminili, applicabile quindi a donne e uomini, considerando le une e gli altri come insiemi ampi e articolati”. Il genere in sé, però, col tempo è passato dall’essere una costruzione culturale a una norma a cui aderire in maniera ferrea per evitare le pesanti conseguenze in caso di trasgressione. Basti pensare alle discriminazioni e agli atti di bullismo anche gravi a cui sono sottoposti quotidianamente coloro che mettono in discussione la propria identità di genere.
Il dibattito italiano a riguardo è stato intriso di espressioni deliranti, arrivando a paragonare il gender al terrorismo e ai peggiori rischi immaginabili e vedendolo come una minaccia per la famiglia e soprattutto per i bambini. Questo argomento, esploso con la discussione parlamentare della proposta di legge per le unioni civili, non è nuovo. Era infatti emerso già alcuni decenni fa, con la richiesta di uguaglianza tra il genere maschile e quello femminile: ciò ha provocato una forte preoccupazione per le possibili modifiche all’ordine naturale delle cose, ai concetti di famiglia e di filiazione, ai modi per essere un buon genitore, in conseguenza alla tendenza verso una sessualità più aperta e all’ammorbidimento delle regole morali e patriarcali. Il nodo fondamentale, oggi come allora, riguarda i ruoli e i pregiudizi di genere.
La legge che infine è stata approvata in Italia, al contrario di quella francese, è stata molto condizionata dalla mobilitazione di piazza del movimento anti-gender. Si tratta di un testo normativo che in teoria è stato scritto per colmare un vuoto e togliere le diseguaglianze, ma che in realtà le ha aumentate, eliminando la parola famiglia e la stepchild adoption (tra l’altro il termine inglese crea solo confusione: molti sono ancora convinti che si tratti di adozione da parte di coppie omosessuali). Uno degli argomenti portato di più per cercare di togliere ogni riferimento alla famiglia nella legge sulle unioni civili è l’articolo 29 della Costituzione, in cui si definisce come famiglia una “società naturale fondata sul matrimonio”. Di questa proposizione, ci si è focalizzati sulla prima parte, considerando naturale l’incontro di uomo e donna per la nascita dei figli. Ma l’articolo 29 è un ossimoro perché la famiglia o è naturale o è fondata su un elemento artificiale quale il matrimonio. All’epoca, però, uscendo dal ventennio fascista, c’era la necessità di allontanarsi dal rischio di un interferenza della sfera pubblica nella sfera privata. C’è da dire, inoltre, che l’ambito giuridico non è necessariamente giusto né statico, perché si adatta ad una società in continuo cambiamento, con nuove problematiche che richiedono una regolamentazione. Infine, come definire ciò che è naturale? La natura non può diventare automaticamente giusta ed imponibile agli altri, tanto che anche malattie e catastrofi sono naturali, ma l’uomo cerca di prevenirle e combatterle tramite strumenti artificiali.
Maternità e paternità non sono la fecondazione in sé, ma indicano un ruolo, una responsabilità che una persona si prende nella crescita di un figlio. Si tratta quindi di ruoli specifici, che possono essere compiuti sia da un uomo che da una donna. Tornare sulla questione biologica significa mettere in discussione e negare anche tutto quello che è stato consolidato in materia di adozioni: sappiamo benissimo che la vera madre di un bimbo adottato è quella adottiva, anche se i geni dicono il contrario. All’interno della questione gender bisogna avere il coraggio di dialogare e di andare oltre stereotipi e pregiudizi, senza assecondarli in base alla volontà di piazza. La battaglia da fare resta perché, nonostante tutto, c’è anche un’incapacità di fondo di cogliere i concetti di base della questione, che spesso vengono confusi tra loro.
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Fonti: Intervento “Questioni di gender” di Chiara Lalli e Michela Marzano, presso Tempo di Libri in data 21 aprile 2017