Il caffè è coltivato in 80 Paesi dal clima tropicale, è la bevanda più popolare al mondo e la seconda merce – o commodity – più scambiata dopo il petrolio. Ciò che resta dopo la preparazione istantanea dei vari tipi di caffè è un fondo che tradizionalmente viene considerato un rifiuto, ma è in realtà un sottoprodotto di grande valore. La preparazione del caffè, infatti, trasferisce nella tazzina soltanto una minima parte della straordinaria quantità di sostanze contenute nel chicco, potenzialmente utili in numerose applicazioni, in grado di alimentare sempre nuove invenzioni nel campo dell’economia circolare.
Per avere un’idea del tesoro nascosto nei fondi di caffè, si pensi che la Nestlé, la più grande multinazionale del settore alimentare al mondo, li utilizza come combustibile. In 22 fabbriche Nestlé, il 26,7 % delle fonti di energia rinnovabile è costituito da fondi di caffè.
La pianta del caffè, Coffea spp., è un vero e proprio laboratorio chimico. I chicchi, la parte commercialmente più interessante, costituisce soltanto il 2 % della biomassa totale prodotta, ma ha dentro di sé una gamma di composti straordinariamente varia, conosciuta solo parzialmente.
Quasi la metà del peso secco del chicco di caffè è costituita da polisaccaridi, ovvero lunghe catene di zuccheri. Questi non vengono estratti durante la preparazione istantanea del caffè, e permangono nei fondi. I polisaccaridi maggiormente presenti sono i mannani e i galattomannani. Il processo di tostatura modifica la struttura di questi composti, che formano un reticolo che blocca la dispersione delle sostanze responsabili dell’aroma del caffè, contribuendo alla sua corposità. Un tipo particolare di mannani, i MOS (Manno-Oligo-Saccaridi), hanno proprietà prebiotiche, ovvero promuovono la crescita dei batteri utili nell’intestino umano, riducendo il tasso di assorbimento dei grassi.
Circa il 15 % del peso secco dei fondi di caffè è costituito da proteine dall’alto valore biologico, ovvero che contengono tutti gli amminoacidi, anche quelli essenziali che il corpo umano non può produrre ed è costretto ad acquisire attraverso la dieta. In particolare, nei fondi del caffè sono presenti amminoacidi di tipo BCAA (Branched Chain Amino Acids), che sono molto ricercati per la preparazione di alimenti funzionali, alla base di diete specifiche come quella dei neonati.
Pochi lo sanno, ma la maggior parte della caffeina contenuta nel chicco rimane nel fondo. Questa sostanza ha ben note applicazioni nell’industria, in particolare nella farmaceutica, sta però crescendo l’attenzione del mondo agricolo per questo sottoprodotto. La caffeina è un’arma chimica che alcune piante utilizzano per tenere lontani i parassiti, è dunque un composto naturale di grande interesse che può essere utilizzato nei sistemi agricoli che fanno uso di una ridotta quantità di sostante di sintesi.
I fondi di caffè nel loro complesso, se mischiati con il terriccio ne migliorano le proprietà e la struttura. Si stanno diffondendo sempre più le esperienze di coltivazione che fanno uso dei fondi di caffè come substrato di crescita. Si è visto per esempio che substrati a base di questo prodotto di recupero favoriscono la crescita di funghi mangerecci (Pleurotus ostreatus) di alta qualità, sia organolettica sia nutrizionale. Tra le varie esperienze va ricordata FungoBox, che ricicla i fondi di caffè raccolti nei bar del territorio circostante, nel vicinissimo Parco Agricolo Sud Milano.
Fonti:
Campos-Vega, R., Loarca-Piña, G., Vergara-Castañeda, H. & Oomah, B. D., 2015. Spent coffee grounds: A review on current research and future prospects. Trends in Food Sciences & Technologies.