Nel 2008 Bernardo Bertolucci fece un film bellissimo, ambientato nel 1968 a Parigi. Un film che ha cambiato la storia e la vita di molte persone, inclusa la mia: “The Dreamers”.
La trama, se non la conoscete, è molto semplice. Un ragazzo americano si trova a Parigi per motivi di studio proprio quando sta per esplodere la lotta studentesca e le rivolte operaie. Insomma, una Parigi colma di persone arrabbiate, in subbuglio, oppresse dal mondo che cambia. Un giorno, per caso (o per destino), incontra due ragazzi, che si scopriranno essere fratelli. Con loro intraprenderò una storia lunga tre giorni, almeno fin quando finisce il film. Tutto si ferma, tutto rimane sospeso nel nulla. Si rinchiudono in casa ed esplorano la profondità dell’animo umano. Ma quando la rivolta scende sulla piazza tutto cambia. Ma noi non verremo mai a sapere esattamente cosa cambia.
Il punto su cui ci focalizzeremo però non è il film in sè, bensì della scena del cinema. I protagonisti si trovano in una sala d’essai e sono seduti esattamente di fronte allo schermo. Alla fine del film, Isabelle dice che si sono seduti li perchè vogliono catturare ogni particella del film prima degli altri, per farlo proprio e coglierne l’essenza primaria.
Trovo che sia una cosa affascinante e contorta allo stesso tempo. Adesso sappiamo che è pericoloso stare così davanti allo schermo perchè farebbe molto male agli occhi e gli schermi stessi si sono triplicati in grandezza quindi la vedo dura.
Eppure è bello provare a penetrare nel film mentre lo si guarda, è bello cercare di essere “puristi della cinematografia”, ovvero fare del cinema la propria essenza di vita. Alla fine mi sono fatta un’idea, o meglio, una teoria tendenzialmente sociologica a riguardo che collega “The Dreamers” con due a film altrettanto cult: “L’Attimo Fuggente” e “Giovani Ribelli”.
Il primo parla di una scuola preparatoria negli Stati Uniti, in Massachusetts, dove un gruppo di ragazzi viene invogliato dal professore di Inglese a intraprendere un viaggio alla scoperta della propria interiorità attraverso lo studio della letteratura e vivendo la vita secondo il motto “carpe diem”, ovvero cogli l’attimo in latino. Il secondo film, invece, tratta la storia di come Ginsberg è diventato Ginsberg e ha conosciuto Carr, Kerouac e Burroghs cambiando per sempre la storia della letteratura americana. Anche loro vivevano seguendo il dogma del “carpe diem”, succhiando davvero il midollo della vita.
In pratica, i film sono collegati tra loro da questo filone di ricerca della bellezza ma anche della continuità emotiva stessa. Ogni personaggio ha qualcosa da dire e si evolve secondo questo sistema. Passa da essere, in gergo, un personaggio piatto a uno a tutto tondo, scoprendo quale sia il suo scopo.
Per quanto riguarda Bertolucci, è il caso di Matthew: bravissimo studente diligente che scopre un lato di sè molto, molto inaspettato e comincia a porsi delle domande sul suo stesso essere Io.
Nel caso de l’Attimo Fuggente, invece, l’attenzione si sposta su Todd Anderson, timido ragazzo pieno di idee che passa dall’essere bloccato e indifferente a un poeta furioso e attivo.
Infine, Allen Gingerg in “Giovani Ribelli”: seguendo le orme di Lucien Carr intraprende un viaggio infinito alla scoperta di se stesso, arrivando fino all’estremo. Trovando nella vita una ragione d’essere fino ad arrivare al punto in cui pubblica le proprie opere e cambia per sempre il volto della letteratura.
Questi sono solo tre esempi, ne potrei fare tanti altri; è l’incredibile del cinema, come diceva mia nonna. Ogni regista crea o produce film diversi tra loro che hanno quasi sempre un filo di Arianna che li collega e li fa diventare un tutt’uno. Tutti, anche quelli ritenuti più sottili o scadenti, hanno qualcosa da dire, da insegnare. Proprio per questo andrebbero preservati e usati come esempio per ogni situazione della vita quotidiana.
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