In un paese come il nostro in cui il linguaggio tende sempre più ad un impoverimento e sembra ormai lanciato verso un processo di decadimento quasi fisico, è raro trovare scrittori dotati di una personale consapevolezza stilistica. L’italiano letterario si è appianato alla lingua quotidiana, è insomma un linguaggio superficiale nel senso etimologico del termine, ovvero tutto risolto in superficie, piatto e quindi precario. In altre parole, mediocre. In un contesto del genere uno scrittore come Crocifisso Dentello rappresenta senza dubbio una piacevole eccezione.
A Dentello, classe 1978, piace definirsi un lettore-scrivente. Interrotti prematuramente gli studi, la sua formazione autodidatta si è composta di assidue letture in biblioteca. Nel suo cosmo letterario troviamo soprattutto i maestri del secondo Novecento italiano, nomi che oggi immeritatamente cadono nell’oblio. Una formazione letteraria, quindi, non contemporanea. La sua è una scrittura che si nutre, con rispetto e riverenza, di una tradizione che si tende ad ignorare.
Senza eccedere nei barocchismi dei vari Consolo, D’Arrigo e Manganelli, Dentello ci regala una prosa curata ed insolita, plasmata in un lessico preciso e non scontato che a volte sembra tendere alla poesia. Eppure questa sua sensibilità letteraria è spontanea. Quello che può sembrare uno stile “ricercato” è per Dentello un naturale alfabeto letterario.
Gli esordi non sono dei più semplici. Il suo primo romanzo, Finché dura la colpa, storia dai risvolti autobiografici, riceve vari rifiuti. Dentello riesce però, in questi anni, a guadagnarsi una certa fama grazie alla sua attività su Facebook. In poco tempo si aggiungono ai suoi followers personaggi di spicco dell’editoria italiana, tanto che qualcuno arriverà a definire il profilo Facebook di Dentello come “il salotto buono dell’editoria”. Ed è così che Gaffi, piccolo editore romano, viene a conoscenza di Finché dura la colpa e lo pubblica.
Ma è l’incontro con Elisabetta Sgarbi a dare la svolta alla carriera di Dentello. Come per ogni cosa bella, accade tutto in fretta. Una telefonata, un incontro nella Milano deserta di metà agosto, e Dentello approda alla Nave di Teseo. Il secondo romanzo era ancora in fase embrionale ma la fiducia della Sgarbi incoraggia la scrittura di Dentello. A inizio 2017, La vita sconosciuta viene finalmente pubblicato.
Il secondo romanzo di Dentello fin da subito divide pubblico e critica. La vita sconosciuta si presenta come una sofferta confessione del protagonista, Ernesto, cinquantenne disoccupato che si ritrova ad affrontare la perdita della moglie Agata. Ernesto fa dunque i conti col proprio passato di rivoluzionario e con quella vita segreta costellata di incontri omosessuali clandestini che ne esasperano i sensi di colpa.
Dietro al romanzo si celano i nomi di Testori e Pasolini. La lettera aperta di Ernesto è scritta con eleganza lessicale che non compromette la fluidità sintattica. Eppure lo stile, letterariamente impeccabile, non ha ricevuto i consensi di tutti: c’è chi l’ha trovato poco coerente col protagonista. Altri, invece, imputano a Dentello un eccessivo compiacimento stilistico.
Ma la vera pietra dello scandalo che ha acceso le critiche è senza dubbio il tema dell’omosessualità o meglio, della rappresentazione che Dentello offre. Basta leggere la prima frase per averne un’idea e non a caso molti lettori (e purtroppo anche critici) hanno abbandonato la lettura al primo punto. Dentello rappresenta l’atto omosessuale senza filtri o censure, lo descrive nei suoi dettagli più espliciti e blasfemi. Non avrebbe avuto senso, secondo Dentello, edulcorare gli amplessi clandestini di Ernesto. La realtà che Dentello racconta esiste, è reale, e non è possibile raccontarla in altro modo senza risultare falsi. Dentello ne dà una rappresentazione diretta, certo, ma pur sempre letteraria, fredda e distaccata. Non è insomma un romanzo erotico, né tanto meno pornografico.
Tralasciando il fatto che l’omosessualità non è il tema centrale di un romanzo che vuole essere un’indagine più ampia sulla vita di un uomo, è sconfortante sapere che molti critici, quindi lettori “professionisti”, hanno bocciato o, peggio, rinunciato alla lettura del libro per via di immotivati scrupoli moralistici. Immotivati, perché il critico dovrebbe focalizzare la sua analisi su altri fattori. Si potrebbe aprire una parentesi molto ampia sul ruolo del critico ai giorni nostri, ma è inammissibile che un critico rifiuti la lettura di un romanzo per personali resistenze moralistiche.
Dentello ha, per usare un’espressione calcistica, ampi margini di miglioramento, com’è ovvio per uno scrittore esordiente. La vita sconosciuta avrà pure qualche limite di struttura, ma è questo il campo su cui deve intervenire il critico. Dentello è uno di quegli scrittori attento al “come” piuttosto che al “cosa” si scrive. Forse i critici dovrebbero fare altrettanto, limitandosi al “come” un romanzo è scritto. E non è sintomo di dissolutezza prendere in analisi morali differenti, realtà ignorate e scomode, contesti problematici.
Ad ogni modo, quel che rimane certo è che Dentello è un nome da seguire nel contesto letterario italiano. Per chi ama una letteratura che sia innanzitutto l’arte della parola scritta, troverà nelle pagine di Dentello soddisfazioni perdute. E pur guardando alla tradizione novecentesca italiana piuttosto che al presente, pur essendo un “vintage”, Dentello sa essere “nuovo”.
Fonti: incontro con lo scrittore.