Quello di coscienza è sempre stato un concetto difficile da definire e molti studiosi si sono interrogati su cosa essa effettivamente rappresenti.
Nell’essere umano, la presenza di una coscienza sembrerebbe provata, anche se gli interrogativi che la interessano sono ancora lungi dall’essere esauriti: si pensi a tutto ciò che implica il cogito ergo sum cartesiano, a partire dagli stimoli filosofici che questo pensiero fomenta fino ai più recenti studi di neuro-scienze cognitive.
Una delle domande che spesso ci si pone quando si parla di coscienza è se essa debba esser considerata come dotata di una caratteristica discreta o meno: in altre parole, è possibile dire che da svegli siamo coscienti, mentre quando dormiamo non lo siamo? Se la risposta è affermativa un’altra domanda attende al varco: come dovremmo considerare quella fase di dormiveglia in cui immagini e pensieri si affollano in modo convulso nella nostra mente?
I quesiti sulla coscienza investono l’essere umano tanto quanto le altre specie animali: in che misura un pesce rosso, un elefante o un moscone possono esser definiti effettivamente coscienti?
Se per la specie umana, un’indagine in tale direzione può avvalersi di resoconti verbali, comportamentali e di similarità celebrale, per gli altri esseri viventi le cose si fanno più complicate.
La risposta è tutt’altro che facile.
Un tentativo di sbrogliare la matassa di quesiti e dubbi che avvolge la coscienza è stato compiuto da due ricercatori australiani Andrew Barron e Colin Klein, rispettivamente biologo e filosofo: i loro studi sono riusciti a dimostrare che anche gli insetti presentano un grado di coscienza.
Barron e Klein, avvalendosi delle tesi di Bjorn Merker, neuro-scienziato svedese, sono riusciti ad attribuire al mesencefalo il ruolo di centro di simulazione della condizione di un essere vivente nel suo ambiente.
Grazie a questo organo (che corrisponde alla parte dell’encefalo derivante dalla vescicola celebrale media embrionale), siamo in grado di avere consapevolezza di ciò che ci circonda in forma slegata dal soggetto: il messaggio elaborato dal mesencefalo corrisponde quindi ad un “ho fame ora”, piuttosto che ad un “io mi sento affamato”, omettendo riflessioni sul sé.
I due studiosi hanno etichettato questa condizione minimale di coscienza come esperienza soggettiva.
Barron e Klein inoltre hanno notato come le strutture del mesencefalo siano presenti anche in diversi invertebrati, come le api: in questa specie, le funzioni di quest’organo permettono, analogamente a quanto accade nell’uomo seppur in forma meno articolata, una localizzazione nello spazio circostante e una realizzazione degli obiettivi richiesti dagli scopi momentanei.
In definitiva, anche negli insetti si verificherebbe un’esperienza soggettiva. Stando a questa scoperta, la nostra concezione di coscienza viene posta in discussione nuovamente: essa non sarebbe caratterizzata da discontinuità (per cui si può dire che ora è “attiva”, ora è “disattiva”) bensì si manifesterebbe per gradi, rendendo lecito parlare di gradi di coscienza.
Fonte:
Mente & cervello – Le Scienze
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