Il mistero di Thomas Jay

Prima del grande azzardo (ampiamente ripagato direi) di Elena Ferrante c’è stato un altro caso editoriale borderline di grande interesse a mio avviso: Thomas Jay. Mentre scrivo mi torna alla mente il dialogo tra Jude Law alias Pio XIII e Cécile de France che interpreta la responsabile marketing del Vaticano in The Young Pope di Paolo Sorrentino:

“Lei sa chi è lo scrittore più importante degli ultimi 20 anni? Attenta però, non il più bravo. La bravura è degli arroganti…L’autore che ha destato una curiosità così morbosa da diventare importante?”
“Non saprei, direi Philip Roth”.
“No, Salinger”
“Il più importante regista cinematografico?”
“Spielberg?”
“No Kubrick”
“L’artista contemporaneo?”
“Marina Abramović?”
“No, Banksy”
“Il più importante gruppo di musica elettronica?”
“Non so assolutamente niente di musica elettronica”
“I Daft Punk. E la più grande cantante italiana?”
“Mina”
“Brava, adesso lei sa qual è l’invisibile filo rosso che unisce tutte queste figure? Nessuno di loro si fa vedere, nessuno di loro si lascia fotografare.”

Lo stesso filo rosso unisce anche questo romanzo al grande mistero dell’esistenza. Partiamo dall’inizio: consiglio assolutamente il libro Thomas Jay di Alessandra Libutti, è bello e appassionante. In breve è la storia di un cattivo ragazzo che fa innamorare tutti. Un maudit. Con un’infanzia difficile Thomas Jay viene spedito in America, è un bambino di dodici anni ed è solo. Lì tra un riformatorio e l’altro scopre la letteratura e scopre di saper scrivere ma questo non basta a salvarlo. Proprio dalla sua cella, dove è infine condannato all’ergastolo per aver tentato di scappare tre volte, scriverà le sue opere più belle, anche le lettere d’amore destinate alla studentessa Ailie che sposerà in carcere.

Il colpo di scena avviene quando, così sostiene la casa editrice Fazi Editore che ha pubblicato il libro, si scopre che Thomas Jay è lo pseudonimo di Stefano Lorenzini e che l’intera storia è vera. La prima cosa che tutti hanno fatto (me compresa) è stata andare a cercare il romanzo che questo Jay sostiene di aver scritto in carcere. In the Dim, In the Light a quanto pare non esiste, non è mai stato scritto. La Fazi ci ha dato dentro con il cosiddetto viral marketing e, per pubblicizzare l’uscita del libro, hanno cavalcato l’onda dello scrittore romantico-ergastolano. Se leggete Thomas Jay vi rendete conto che pensare a lui come un uomo vero che sta dietro le sbarre è penoso. Avete voglia di parlarci, di leggere i suoi libri ma la verità è che questo Thomas Jay-Stefano Lorenzini semplicemente non esiste. Mi dispiace, sarebbe stato stupendo scoprire così d’un tratto che c’è uno scrittore del genere e non lo sapevamo. Un regalo gratuito: mi sveglio, scopro i suoi libri e la prima cosa da fare è correre fuori a comprarli. Ma d’altro canto se la storia fosse stata vera avremmo dovuto pensare a uno dei tanti carcerati che marciscono per essere dei ladri di polli. E questi purtroppo esistono.

C’è un video sul sito della Fazi costruito benissimo: con tanto di interviste compresa quella all’amata Ailie e le copertine dei suoi fantomatici romanzi. Esiste addirittura una finta petizione “Free Thomas Jay” che è stata firmata da personaggi illustri come: Gore Vidal, Paul Auster, Jonathan Franzen, Michael Moore, Bruce Springsteen, Jack Nicholson, Tim Robbins, Susan Sarandon, Sean Penn, Julian Schnabel e tanti altri.

Ed ora il punto spinoso della questione: al 90%, purtroppo, la storia dello scrittore italoamericano è falsa ed ha fatto infuriare un sacco di gente che ha fermamente rifiutato questo tipo di pubblicità al limite del reale. Io penso alcune cose in proposito:

  • Abbiamo scoperto un libro davvero bello, con una figura così carismatica che non si vedeva da tempo e che ha spazzato via un po’ di cattiva letteratura degli ultimi anni.
  • Il marketing è marketing e questo è stato piuttosto spinto e ben congeniato, il che mi fa credere che in molti ne abbiano parlato. Ergo ha funzionato. Chapeau.
  • A chi sostiene che è scorretto, per non dire immorale, toccare il tema del sistema carcerario americano quanto italiano, rispondo che se tutta questa messa in scena è servita anche solo minimamente a portare alla luce il problema bisogna solo essergliene grati. Penso che nella vita ci siano un sacco di cose orrende e tra queste l’essere chiusi in una stanza da soli per tutta la vita. Che Thomas Jay sia finzione o realtà spero davvero che ora non si trovi in una di quelle celle.

 

Fonti: Thomas Jay – Alessandra Libutti. Fazi Editore

credits

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