Daria Bignardi e Antonio Franchini, direttore editoriale della Giunti Editore, sono i protagonisti di un affollatissimo incontro alla Fiera dell’Editoria italiana, Tempo di libri, dal titolo Cosa fanno gli Editor. In una sorta di intervista doppia condotta da Giacomo Papi, giornalista e scrittore, viene presentato e approfondito con maestria il lavoro dell’editor sia dal punto di vista di una scrittrice, sia dalla prospettiva di un addetto ai lavori.
Il primo editor della storia dell’editoria è stato Ezra Pound che curò La terra desolata di T. S. Eliot e che fu definito dallo stesso autore “il miglior fabbro”, ricalcando la celebre espressione che Dante riservò al poeta provenzale Arnaut Daniel nel canto XXVI del Purgatorio. Da allora la figura dell’editor si è sviluppata fino a diventare, oggi, un lavoro collettivo, in cui il rispetto della scrittura autoriale è una prerogativa. Proprio per questo il caso di editing più celebre e più citato, che vede protagonisti Lish e Carver, è in realtà un non-caso, un esempio fuorviante. Lish fa parte della mitologia editoriale ma compì un’operazione che un editor, in linea di massima, non dovrebbe fare: Gordon Lish ha editato Principianti, raccolta di racconti di Raymond Carver, trasformandola con drastici tagli in un testo totalmente diverso, che venne mandato in stampa con il titolo Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Che poi il risultato sia stato eccezionale è un altro discorso.
Se per Franchini un libro è un’opera collettiva ed è necessario abbandonare l’idea romantica del libro partorito dallo scrittore in solitudine, per Daria Bignardi non è così, il lavoro dello scrittore è solitario e sofferente. Da una decina di anni è emerso un interesse molto intenso, quasi morboso, nei confronti dell’editoria, motivato dal pensiero ricorrente che nelle case editrici ci siano persone in grado di trasformare un libro in un prodotto appetibile per la massa, quasi che siano gli editor i veri autori dei libri. Ovviamente le cose non stanno così: il testo appartiene all’autore, gli editor non intervengono in modo drastico sui libri ma lavorano in accordo con gli autori.
Come ci sono testi che hanno bisogno di più maieutica rispetto ad altri, allo stesso modo ci sono autori che hanno bisogno di più confronto – anche nel momento creativo della scrittura – e autori che ne hanno meno bisogno. L’editor deve quindi conoscere l’autore con cui ha a che fare per dargli il miglior tipo di sostegno possibile. Il concetto fondamentale emerso dalle parole dei due ospiti è fiducia. Gli scrittori sono gelosi del proprio lavoro, si affezionano alle parole che scrivono, ma lo sguardo di una persona di fiducia può aiutare a chiarire le idee. L’editor è il primo lettore, un lettore fantasma, che stabilisce con gli autori un rapporto intimo e professionale allo stesso tempo.
Daria si è scoperta scrittrice a 7 anni ma ha pubblicato Non vi lascerò orfani, il suo primo romanzo, a 48 anni. Daria invia un lacerto, una breve prosa sulla morte della madre a Franchini il quale le consiglia di tirare fuori tutto, di scavare più in profondità, portando alla nascita del libro, che è quasi un memoir letterario. A riprova del fatto che il lavoro cambia non solo da autore a autore ma anche da un libro ad un altro dello stesso autore, il secondo romanzo di Daria Bignardi segna il passaggio a una prosa più narrativa e fluida. Per dirlo in termini epicurei, ogni autore e ogni libro hanno un proprio clinamen e un buon editor indirizza e segue quel percorso.
L’editor, quindi, non è solo editor: è psicologo, poiché dà un sostegno concreto agli autori con cui lavora, è un levatore che aiuta e indirizza la nascita di un libro e, infine, è anche un amante: è un delitto dire alla persona amata di comportarsi come un’altra, così, allo stesso modo, l’editor aiuta gli autori a diventare ciò che vogliono essere, senza imporre loro di scrivere imitando altri.
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