La produzione pittorica di Turner si sviluppa su due livelli: le tele presentate alla Royal Accademy, nella sua galleria oppure eseguite su commissione, e quelle che teneva invece nascoste nel suo studio. Le prime riflettono il modo in cui l’artista voleva essere considerato, mentre le seconde diventano espressione del suo aspetto segreto e misterioso, in cui ha osato sperimentare nuove e più originali soluzioni, staccandosi dalle consuetudini artistiche per liberare il suo genio interiore.
Sono infatti proprio queste opere segrete che ci mostrano lo spirito innovatore di Turner, che non può e non vuole attenersi alle regole dettate dalla tradizione artistica, ma tenute segrete per il timore di non essere compreso e probabilmente per celare anche a sé stesso i suoi cambiamenti. La personalità di Turner, la sua instancabile curiosità e la sua implacabile bramosia di conoscere nuovi luoghi, lo portano a viaggiare in continuazione per il suo paese ma anche per tutta l’Europa.
Il viaggio era essenziale per un artista romantico, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti e di paesaggi più emozionanti. Questo animo da viaggiatore instancabile porta Turner a recarsi in Italia per vedere con i suoi occhi quei luoghi fino ad ora conosciuti solo attraverso le opere di altri artisti: lo porta soprattutto nella magica città di Venezia nel 1819.
I tre soggiorni veneziani furono piuttosto brevi, ma l’impatto che l’arte, l’architettura e soprattutto la luce di questa città hanno su di lui, plasma completamente l’ultima fase della sua carriera pittorica. Turner soggiorna per la prima volta dall’8 al 13 settembre 1819; nel 1833, dal 9 settembre fino al 16 settembre circa e infine nel 1840, dal 20 agosto al 3 settembre. Nel caso il soggiorno fosse di breve durata, Turner aveva l’abitudine di realizzare schizzi a matita, di esecuzione molto più rapida rispetto all’acquarello; questo spiega la sua produzione veneziana del suo primo viaggio, in cui dipinse solo quattro acquerelli.
La seconda visita è invece quasi esclusivamente documentata nei taccuini, mentre i giorni dell’ultima visita sono i più produttivi dei suoi soggiorni veneziani. Venezia si rivela la città che libera Turner da ogni regola imposta dall’Accademia, facendogli scoprire scorci e scenari attraverso il bagliore della luce che la illumina. Venezia quindi rivela al pittore la vera natura, la vera essenza della luce, ma non luce come semplice illuminazione solare, ma come qualcosa ti abbagliante che penetra l’anima e acceca lo sguardo.
I mare e gli effetti di luce sull’acqua erano sempre stati soggetti importanti per Turner, rimase pertanto inevitabilmente affascinato dalla tipica luce veneziana, prodotta da una straordinaria connotazione ambientale, tra acqua e terra, mare e laguna.
Quando Turner giunse per la prima volta a Venezia, aveva già un’idea della città grazie alle opere di Canaletto, ma anche grazie alle fonti letterarie offerte da Shakespeare (in particolar modo “Il mercante di Venezia” e “Otello”) e dalle poesie e i drammi di Byron, che definisce Venezia come “un gioiello che sorge dal mare”. Infatti l’evocazione di Byron di una Venezia ancora bella, malgrado “i suoi palazzi stiano crollando sulle sue sponde”, dovette esercitare su di lui una forte attrazione, un rafforzamento della sua voglia di recarsi per la prima volta in questa incantevole città.
Il pittore inglese rese anche omaggio a Canaletto in una delle sue prime opere di soggetto veneziano, ma non si lasciò mai influenzare completamente dall’esempio del grande maestro e, pur assorbendone alcuni principi, giunse ad esiti espressivi totalmente nuovi e diversi. Il pittore inizia infatti a realizzare rese atmosferiche in cui i colori si fondono con la luce; proprio luce e colore, primeggiando sulle forme, diventano il vero soggetto dell’opera.
Nelle sue vedute di Venezia sono sorprendenti la luminosità e la vivacità del colore; fin dal suo primo viaggio inizia a sperimentare la dissoluzione delle forme a vantaggio della luce, fino a giungere ad una completa supremazia del colore. È questo lo scopo di Turner: fissare la luce sulla tela, per darle forma e colore.
Inoltre nell’ultimo decennio del Settecento il mondo artistico londinese era incantato dalla pittura veneziana. Nel 1802 la pace di Amiens segnò una tregua temporanea nella guerra anglo-francese, permettendo la ripresa per i britannici di viaggi, soprattutto in Europa; Turner poté così recarsi a Parigi per studiare al Louvre, dove erano ospitate grandi opere d’arte requisite dalle truppe napoleoniche. Alcune provenivano proprio da Venezia e tra queste vi erano dipinti di Veronese, Tiziano e Tintoretto: Turner ammirava queste opere in cui il paesaggio diventava il soggetto, anziché svolgere la funzione di semplice sfondo. Fu particolarmente colpito dal colore e dal pathos dell’effetto di Tiziano, tanto da cercare nei proprio dipinti di assimilare le lezioni di questo grande maestro.
Nel settecento inoltre i quadri di Canaletto avevano raffigurato una Venezia sotto una luce scintillante; tuttavia numerosi poeti iniziarono a diffondere l’idea che la magia di Venezia si mostrasse solo quando “la luce fioca” ne mascherava la lenta decadenza dei suoi palazzi. Da qui quindi la volontà di Turner di studiare la luce notturna che illuminava la città di Venezia, anche se presentò al pubblico un solo dipinto della città al chiaro di luna, tenendo nascosti gli altri.
Anche se in molti dei suoi quadri si ispirò a tempeste, naufragi e situazione drammatiche come espressione della forza sublime della natura, l’amore e la sensibilità per gli aspetti naturali più tranquilli e idilliaci non lo abbandonarono mai; si rafforzarono proprio con i soggiorni italiani, in cui si trova immerso in paesaggi luminosità e serenità che prima poteva solo immaginare.
Turner racchiude quindi in sé la capacità di comprendere la Natura in tutte le sue misteriose manifestazioni trasformando il tutto, nelle sue opere, in mirabili rappresentazioni di momenti che spaziano dal drammatico alla pace idilliaca.
Credits:
fonti: La storia dell’arte raccontata da Flavio Caroli
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