Dopo la magistrale interpretazione in Elle, Isabelle Huppert torna sui grandi schermi italiani in Le cose che verranno, in una storia non più eccentrica e perversa come la precedente, ma delicata e complice.
Nel nuovo film di Mia Hensen-Love, Huppert è Natalie, un’insegnate liceale di filosofia. Lo stesso marito è professore di filosofia e nella casa non si fa altro che parlare e pensare. Un giorno però l’intera esistenza di Natalie viene messa in dubbio, dopo che una serie di eventi, tra cui il tradimento del marito, la sconvolgono profondamente. Posta di fronte ad un cambiamento radicale ed una solitudine mai prima sperimentata, la protagonista è abbandonata al futuro, alle cose che verranno appunto, senza sapere bene quali queste saranno. E noi, gli spettatori, la seguiamo in questo suo delicato percorso di riscoperta, mai esageratamente tragico, nonostante gli eventi siano fonte di vera delusione e tristezza.
Natalie infatti è sempre estremamente composita e mai fuori dagli schemi: sembra completamente distaccata dalla realtà, che spesso non vuole accettare, tanto che definisce quella nuova solitudine come una ritrovata libertà, cercando in tutti i modi di definire in maniera positiva uno stato profondamente negativo. La donna non sembra mai riuscire ad applicare la sua profonda conoscenza della mente umana, del pensiero e dunque della filosofia alla sua di vita.
Ne cogliamo un ritratto di una donna sempre raziocinante, convinta che prima di tutto si debba pensare con il proprio cervello, ma per questo completamente bloccata. Paradossalmente, la sua abilità filosofica si dimostrerà pressoché inutile di fronte a vari eventi della sua vita che, susseguendosi, le faranno perdere ogni ruolo precedentemente ricoperto, compreso quello di educatrice, lasciandola nell’unico ruolo che tutti le hanno sempre attribuito, ovvero quello della borghese di sinistra, un tempo attiva politicamente ma ormai troppo vecchia per fare qualsiasi cosa, che sia aderire alla politica o far prendere una nuova piega alla propria vita. Le cose che verranno per Natalie non saranno mai governate da lei, che invece le accetterà apparentemente senza ribellione.
Hensen-Love, sia sceneggiatrice che regista del film, porta di fronte ai nostri occhi una storia ben scritta, e girata molto bene (tanto da aver vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale 2016), che rispetta il personaggio e si inserisce nella sua vita come un silenzioso testimone. Eppure il film non sembra darci molto altro: è forse una storia già vista, già letta, ovvero quella di un donna posta di fronte all’inesorabile avanzamento del tempo, in un futuro incerto che le impone la revisione totale della propria vita.
Così il film, tecnicamente buono, e interpretato meravigliosamente, non ci da molto di più.
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