Se ne è parlato per mesi prima e dopo la sua approvazione. Finalmente, dal 1 Maggio 2017, l’APE (dell’Anticipo finanziario a garanzia pensionistica) affila il pungiglione. Ma si tratterà davvero di una dolorosa puntura per i lavoratori italiani e per le casse del governo? Un’analisi delle sue principali fattezze ci permetterà di sfatare alcuni miti.
La scelta di incrementare il welfare pensionistico nella Legge di Bilancio nasce dalla necessità di rafforzare la funzione assistenziale del sistema pensionistico, a seguito dell’abolizione delle pensioni di anzianità anticipata (riforma Fornero), dell’età eccessivamente avanzata per il pensionamento e dei tagli alle pensioni. Nel sistema ancora a ripartizione contributivo, con le misure introdotte, aumenta la flessibilità di uscita dal mondo del lavoro. Tra le novità, per l’appunto, l’introduzione dell’Anticipo finanziario a garanzia pensionistica per determinati lavoratori (art 167, L. 11/12/2016, n. 232).
L’APE è “un prestito corrisposto a quote mensili per dodici mensilità” fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, a partire dal quale cominciano le rate di ammortamento mensili per venti anni (art. 166 e ss). La pensione anticipata è destinata a lavoratori di categorie svantaggiate il cui rimborso sarà a carico dello Stato (APE sociale), lavoratori dipendenti pubblici/privati/lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata su decisione volontaria i quali pagheranno l’intera operazione (APE volontaria), dipendenti che divideranno il costo dell’operazione con la società (APE aziendale).
Le spese per il Governo (riguardanti l’APE sociale) si stimano di 500-600 milioni. Le altre categorie di anticipo pensionistico, per non coinvolgere le casse pubbliche, sono state designate come un prestito bancario di cui lo Stato è garante. Al riguardo, il professore F.R. Pizzuti stima che dall’Ape possano derivare profitti sostanziosi per gli istituti di credito, più che reali vantaggi per i lavoratori. Per evitare un eccessivo sbilanciamento finanziario le riforme prevedono il requisito di un’età minima contributiva. Dato che il sistema di pensionamento a ripartizione attribuisce il rischio demografico ai lavoratori, l’aumentare del numero di pensionati avrebbe potuto spaventare. Tuttavia, la soluzione di designare l’anticipo pensionistico come prestito, scarica il rischio sul settore finanziario ed assicurativo, cui l’individuo che decide volontariamente di anticipare il proprio pensionamento deve rivolgersi (è rispettata l’equità attuariale). Inoltre, essendo il nostro sistema di tipo contributivo, l’APE costituisce un trade-off con i maggiori contributi versati per il lavoratori.
Un’APE fin qui alquanto innocua dunque, il cui impatto è, almeno sulla carta, in termini di una maggiore equità sociale. Un’APE che tuttavia, a fronte anche delle altre misure approvate in Legge di Bilancio, sembra essere particolarmente ghiotta di fondi. Al proposito, a fronte dei 1,2 milioni di nuovi pensionati beneficiari stimati, sono stati stanziati dal Governo 7 miliardi di euro in tre anni: 1,9 nel 2017, 2,5 nel 2018 e 2,6 nel 2019. In ogni caso, un’APE che non smette di ronzare…
Fonti:
Sole24Ore
it.blastingnews.com
www.leggioggi.it
www.pmi.it
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