Come nell’opera di Arthur Miller, Morte di un commesso viaggiatore, presente nell’ultimo lavoro del regista Asghar Farhadi, avvenimenti tragici scuotono l’esistenza dei protagonisti appartenenti ad un ceto sociale alto, che siano americani benestanti o iraniani borghesi, dalla mentalità aperta e laica.
Il cliente è il dramma che il regista ci propone partendo da una crepa fisica, sul muro di una casa, ma emblematica e ovviamente carica di rimandi a situazioni sociali, politiche e più personali, come quelle dei coniugi Emad e Rana. La crepa iniziale appartiene al muro dell’appartamento dei due e li costringerà a traslocare momentaneamente in un’altra casa, in quella di una conoscente di un loro amico e collega attore, che nessuno però conosce veramente e di cui non si sanno tanto meno le abitudini ed il lavoro. Ed è proprio tra quelle mura, che per mano di un cliente della precedente inquilina, che si consumerà una violenza e la vittima sarà Rana.
Il regista Asgar Farhadi non prenderà mai posizione, si limiterà ad osservare questo dramma che consumerà la coppia: Rana, la vittima, vuole solo dimenticare e andare oltre, come se nulla fosse mai accaduto e dall’altro lato Emad, suo marito, non vuole accettare l’accaduto e si dedicherà alla ricerca e così alla vendetta contro l’aggressore, sentendosi in qualche modo responsabile dell’accaduto.
Le diverse reazioni saranno un altro solco all’interno del loro rapporto, aumenterà la distanza tra di loro, andando a dividere quello che prima era un rapporto unito e agirà sulla coppia proprio come una crepa, che spezza un intero, lo divide.
Questa pellicola è un lavoro particolarmente interessante, premiato con un oscar come miglior film straniero: la visione che il regista ci propone di un Iran moderno e laico spezza, in linea con la tematica della pellicola, la visione comune che si ha dei paese del Medio Oriente. Un film dal contenuto universale, eloquente, che riesce però a mettersi in abiti diversi.
Questo dramma senza soluzione, abbraccia anche un’altra tragedia, quella del protagonista dell’opera teatrale di Miller: entrambe senza fine, definitive e senza possibilità di recuperare, vissuti da due società agli antipodi, scelte volutamente in conflitto, ma non così diverse, che possono entrambe ritrovarsi, non nella mentalità borghese, ma nell’umana condizione di sofferenza, davanti a episodi che non hanno confini. Ancora una volta è la violenza a ricordarci che non esistono differenze.
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