Life è l’originalissimo titolo dell’ultimo film del cileno-svedese Jorge Daniel Espinosa, distribuito nei cinema italiani dal 23 marzo 2017 con annesso sottotitolo Non oltrepassare il limite.
Il cast comprende nomi come Jake Gyllenhaal e Rebecca Ferguson, oltre ad ostentare un Ryan Reynolds che può vantare un girato di appena venti minuti. Rhett Reese e Paul Wernick sono l’inseparabile coppia di sceneggiatori che ha brillato nella scrittura di Deadpool, e la cui fiamma qui si affievolisce notevolmente.
Il team di sei astronauti della Stazione Spaziale Internazionale riesce con successo a recuperare una sonda contenente del terriccio proveniente da Marte. Il biologo della squadra individua nel campione analizzato una cellula in fase dormiente: non pago di avere tra le mani la prima testimonianza di vita extraterrestre, il ricercatore stimola l’organismo fino al suo risveglio. Comincia così con sbalorditiva velocità la crescita dell’essere che conduce a scoperte sensazionali per il team e per il mondo intero, ansioso di sapere sempre di più sul marziano ribattezzato Calvin. Non passerà molto tempo prima che l’ultimo arrivato a bordo si riveli più che intelligente, forte ed ostile nei confronti dei suoi ospiti: per i sei astronauti si prevede un destino alla dieci piccoli indiani e l’extraterrestre si staglia a minaccia, anche per tutto il pianeta Terra.
Life guarda ad Alien con la stessa stima e riverenza che Kylo Ren rivolge al nonno Darth Fener: non può competere, ma sembra accontentarsi di esserne un tributo. E per la maggior parte suscita tanta nostalgia di Ridley Scott e Ripley. I personaggi sono superficiali e poco interessanti, difficile affezionarcisi: commettono una serie di errori implausibili con il loro ruolo, ma utili affinché la storia abbia il suo adrenalinico corso.
La trama è generalmente poco originale e molto prevedibile anche nelle sue svolte al cardiopalma, si scuote solo in pochi momenti. Tuttavia la stroncature mettono tristezza sia a chi è stroncato sia a chi stronca – per quanto fare la wreking ball abbia il suo sadico gusto-, quindi proviamo a individuare i motivi per cui la visione di Life non implichi due ore di tempo buttato.
L’alieno è il personaggio più approfondito e affascinante: un’entità “tutto muscoli, tutto cervello, tutto occhi”, le cui potenzialità sono istintivamente sottovalutate dagli astronauti come dallo spettatore. La sua evoluzione fisica e mentale in accelerazione costante dà il ritmo al film ed è il motore che manda avanti la trama nei suoi snodi più brillanti, di contro agli ingranaggi dell’equipaggio che non fanno che incepparsi.
Il design per l’aspetto di Calvin è innovativo e ha dato alla luce un ibrido tra il fiore e il rettile, per un impatto visivo meraviglioso e orrido al tempo stesso: una nuova lezione per Steven Spielberg e i suoi alieni, quasi sempre troppo vicini all’umano e troppo distanti dall’“alienus”.
L’intrattenimento è comunque garantito!
La tensione è giocata al rialzo sia da momenti d’azione più concitata e musiche di grande effetto, sia da sequenze che tanto ricordano Gravity di Cuaròn: le atmosfere ovattate e gli istanti sospesi fino all’estenuazione danno un tocco di eleganza a un film che vuole essere puro spettacolo disimpegnato, senza farsi tramite di un qualche significato profondo o di un’illuminante interpretazione del reale. Una visione consigliata per uno stacco leggero al termine di una giornata stancante.
Il finale è un buon cazzotto allo stomaco: dopo una lunga serie di sfortunati –quanto poco credibili- eventi, la trama si salva all’ultimo con una conclusione ad effetto. Sia chiaro, non piove dal cielo alcun colpo di scena eclatante alla Il sesto senso, ma il fattore sorpresa lascia piacevolmente agghiacciati. E parlarne oltre vorrebbe dire spoilerare.