¡ADIOS!: chiude il giornale messicano Norte dopo la morte di un altro giornalista

 

Essere giornalisti in Messico è un lavoro pericoloso. Nel solo mese di marzo sono stati tre i giornalisti uccisi per motivi legati al loro lavoro: Cecilio Pineda Birto, Ricardo Monlui ed infine, il 23 marzo, Miroslava Breach.

E’ stata proprio la morte di Miroslava Breach, collaboratrice del giornale Norte di Ciudad Juarez a far maturare nel suo direttore Oscar Cantù Murguìa l’idea di chiudere il giornale, prima nella sua versione cartacea, ed in seguito anche nella versione online.

Attraverso una lettera in prima pagina dal significativo titolo ¡Adios!, l’uomo ha spiegato ai suoi lettori le motivazioni alla base di tale decisione. 

«Oggi, stimato lettore, mi rivolgo a lei per comunicarle che ho deciso di chiudere questo giornale per via del fatto che, tra le altre cose, non esistono né le garanzie né la sicurezza per svolgere un giornalismo critico e controbilanciato» scrive Oscar Cantù Murguìa.

Dopo 27 anni di attività, al di là dei problemi economici dovuti anche al mancato saldo del debito da parte dello stesso Stato, sono venute meno quelle condizioni necessarie che consentono un corretto svolgimento del proprio lavoro e l’uccisione di Breach, le cui inchieste erano rivolte ai legami che univano i trafficanti di droga alla politica, ha reso evidente lo stato di tensione e pericolo in cui sono costretti a lavorare i giornalisti messicani.

«E se questa è la vita, non sono pronto a far pagare questo prezzo ad altri dei miei collaboratori, né a farlo in prima persona» ha ribadito il direttore.

Purtroppo questo non è che l’ultimo nome che va a aggiungersi a una lunga lista di vittime.
Come dichiarato dal Comitato per la protezione dei giornalisti, dal 1993 al 2015 in Messico sono stati 67 i giornalisti uccisi per motivi legati alla loro attività giornalistica, più altri 42 casi di cui ufficialmente non si è giunti ad una soluzione nelle indagini.
A queste cifre vanno aggiunti i numerosi casi di scomparse, che dal 2003 al 2016, secondo l’organizzazione indipendente Artículo 19, sarebbero 21. Tale lista non include ancora l’emblematico rapimento della giornalista Anabel Flores Salazar, sequestrata e uccisa nel febbraio del 2016 da un gruppo di uomini armati vestiti in uniforme militare.

Nonostante abbia aderito alla dichiarazione in difesa della libertà di espressione a livello internazionale, abbia avviato meccanismi di protezione per i giornalisti e abbia creato una procura specializzata in delitti contro la libertà d’espressione, il Messico rimane uno dei tre paesi più pericolosi per chi si fa portavoce del diritto di conoscere e far conoscere la verità, preceduto solo da Siria e Afghanistan. Al 148’ posto su 180 paesi nella classifica della libertà di stampa, rimane un luogo dove fare il giornalista si traduce in una sfida, stretti tra la morsa del narcotraffico e le pressioni politiche ed economiche del governo.

La chiusura del Norte è dunque un sintomo della crisi della libertà di espressione che ormai da decenni affligge il paese, frutto di un clima di insicurezza e omertà, quando non collusione, da parte dello Stato davanti alle azioni della criminalità organizzata. I delitti restano troppo spesso impuniti, con il risultato di incrementare gli episodi di violenza come strumento di intimidazione.

Nel momento in cui un giornale si trova costretto a chiudere per tutelare i propri lavoratori, in un Paese dove le morti dei propri cittadini continuano a rimanere impunite, non è solo la libertà di espressione ma lo stesso stato democratico a subire un duro colpo ed il silenzio dello Stato davanti a tali episodi rappresenta un spietata forma di censura di fronte al diritto dei cittadini di sapere la verità.

Fonti: articulo19; internazionale; ilpost; eluniversal

Crediti immagini: Immagine 1, Immagine 2

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