C’è da dire che Moll Flanders non è una donna simpatica. E questo è un primo problema. È un problema perché questo è un romanzo di oltre quattrocento pagine. Ora, avremmo potuto avere a che fare con una donna antipatica per cento pagine, forse duecento, un caffè non si nega a nessuno, insomma. Ma quattrocento pagine no. Quattrocento pagine comprendono il caffè, l’aperitivo e anche la cena. Rasentano la convivenza, implicano un legame stretto e tanto, tantissimo mal di testa.
Il primo di una lunga serie di problemi, con un aggravante: l’autore sembra non esistere. L’intero romanzo è raccontato in prima persona da Moll Flanders stessa. Il lettore non ha scampo, è uscito di casa convinto di cavarsela con un’ora di chiacchiere: un caffè, una sigaretta, un bicchiere d’acqua e via. E invece si trova legato alla sedia del bar costretto ad ascoltare quattrocento pagine di sproloquio con un’interlocutrice che, francamente, gli sta anche antipatica. Una tragedia.
Quattrocento pagine di lamenti, di matrimoni falliti, di incesti, di povertà. Quattrocento pagine in cui la vita sembra accanirsi contro la nostra protagonista in maniera così violenta che al lettore viene da chiedersi se lei, cioè la vita, in quel periodo avesse avuto il tempo per preoccuparsi anche del resto, guerre incluse. Non un cenno storico, non un riferimento alle contingenze, alla realtà: esiste solo Moll Flanders, una donna povera in cerca della ricchezza. E fin qui la trama potrebbe essere interessante, forse banale ma comunque nella norma. Ecco, il problema è che un romanzo non può sacrificare tutto il resto per raccontare unicamente questo, non può tagliare la storia, la città, le contingenze e concentrarsi solo sulla protagonista. In primis perché un personaggio sospeso nel tempo, svincolato da qualsiasi legame con ciò che succede intorno a lui non ha senso di esistere. E poi, a maggior ragione se la protagonista in questione risulta anche antipatica. Non abbiamo trovato termini migliori, ci abbiamo provato, abbiamo passato in rassegna tutti gli aggettivi a nostra disposizione ma la verità è che Moll Flanders è proprio così: antipatica. Antipatica perché Defoe non le dà il minimo spessore psicologico, così da farla risultare una donna priva di sentimenti reali, autentici. Antipatica perché sembra non capire che a un’azione corrisponde inevitabilmente una reazione, perché dimostra un’ingenuità -dalla prima all’ultima pagina, e nell’ultima pagina ha settant’anni-, assolutamente irritante e ingiustificata. Moll Flanders vittima degli uomini e di un mondo cattivo, che gira nel verso sbagliato. E questo, vi assicuro, alla trecentonovantanovesima pagina diventa estenuante. Una donna forte, questo è il messaggio che l’autore vorrebbe trasmettere. Ecco, il risultato è che però Moll Flanders non risulti una donna forte, ma piuttosto capricciosa.
Secondo problema: la prima persona. Defoe è inequivocabilmente un uomo, e allora, ci chiediamo, per quale motivo ha voluto dar voce a una donna? Una storia vecchia come il mondo, direte voi. Vero: non è né il primo né l’ultimo autore che decide di scrivere un romanzo che abbia come protagonista una donna. Però insomma, la prima persona. Autore e narratore non coincidono naturalmente, ma neanche questa è una novità. Il problema -il secondo- è che Defoe fa continuamente capolino nella storia, si vede, la sua presenza si percepisce. Quella che descrive non è la mente di una donna, non i suoi pensieri. Ciò che Defoe descrive è la mente di una donna filtrata tramite i pensieri di un uomo, o meglio: una mentalità femminile così come gli uomini vorrebbero che fosse. E infatti, Moll Flanders è antipatica. Pensandoci bene non avrebbe potuto essere altrimenti, perché in fondo la protagonista di questo romanzo non è reale, è totalmente evanescente: una donna creata da un uomo il quale pretende di analizzare la sua psicologia, da uomo, e di slegarla da qualsiasi contatto con la realtà. Una Londra descritta in maniera sommaria, moltissimi luoghi diversi, una città quasi inesistente. Dov’è la sostanza di questo romanzo? E soprattutto, qual è la trama, il punto, la morale? Dopo quattrocento pagine, non abbiamo trovato la risposta. Anzi, a essere sinceri abbiamo smesso di porci domande più o meno a metà del libro. Questo il terzo -e ultimo- problema: un romanzo dovrebbe far pensare, spalancare la testa di chi lo legge, far nascere domande, crisi, dubbi. Moll Flanders non è così. È un romanzo che si fa leggere, insomma, e dopo un po’ anche a fatica. Perché il lettore è un ospite indesiderato, la sua partecipazione non è richiesta: la storia inizia con la protagonista e con lei si esaurisce. Noi che leggiamo siamo solo spettatori passivi e la nostra testa può tranquillamente rimanere spenta. Ecco, davvero, questo è il problema più grave: un libro che non implica neanche il minimo sforzo di comprensione o che non rovescia almeno un ideale che il lettore pensava di avere chiaro e tondo nella sua testa non vale la pena di essere letto. E quindi dopo un’attenta analisi e dopo aver fatto i conti con la nostra coscienza, ci sentiamo di dire che per questo e per altro, ma soprattutto per questo, “Moll Flanders” non vale la pena di essere letto.